Chiunque si interessi con passione di economia si è sicuramente accorto che è scomparso dal

(veduta del Porto ri Ravenna, dal sito dell'Autorità portuale di Ravenna)

(veduta del Porto ri Ravenna, dal sito dell’Autorità portuale di Ravenna)

dibattito nazionale il concetto di ‘politica industriale’. Una mancanza di attenzione che mi preoccupa, perché faccio fatica a capire come un Paese moderno come il nostro possa fare a meno di una programmazione del settore industriale. Una preoccupazione che aumenta di intensità quando rifletto sullo scenario che potrebbe aprirsi per i lavoratori di Ravenna e provincia.
I tre settori che dovrebbero beneficiare di una politica industriale, in questo momento, stanno vivendo un momento di palese incertezza. In primo luogo il porto, principale hub di arrivo di materie prime in particolare della Pianura Padana, che sta patendo il blocco del progetto di approfondimento dei fondali. Per fortuna il Comune e la Regione non se ne stanno con le mani in mano e il sindaco e il presidente Bonaccini si sono già attivati per incontrare il ministro delle infrastrutture Del Rio, con il quale confermare l’idea che lo scalo ravennate è strategico per l’Emilia-Romagna e che servono interventi strutturali.
Altro tema riguarda il settore dell’energia, una delle principali voci di costo delle imprese industriali. L’Italia non utilizza tutte le potenzialità delle risorse nazionali, in particolare del gas metano. Anzi dopo l’approvazione dell’emendamento che impedisce l’utilizzo della tecnica dell’air gun, il comparto della meccanica strumentale offshore, potrebbe subire un ridimensionamento consistente (vedi approfondimenti negli articoli qui sotto).
Infine la partita che riguarda la chimica, industria base dell’economia manifatturiera: il piano dell’Eni, presentato recentemente, punta soprattutto a consolidare la presenza nell’oil&gas, rinviando gli investimenti nel distretto chimico.
Per affrontare le sfide del futuro occorre fare sistema sia a livello locale che a livello nazionale affinché si trovi una traiettoria di sviluppo per il settore industriale.
Da un’elaborazione dati Edison risulta che l’Italia è tra i paesi che, nella globalizzazione, hanno conservato maggiori quote di mercato mondiale, mantenendo, dopo l’irruzione della Cina, il 72,6% della quota di export internazionale di prodotti manifatturieri, rispetto a quella che aveva nel1999. Performance migliore di quelle di Francia (59,8%), Giappone (57,3%) e Regno Unito (53,4%).
Il modello produttivo italiano è tra i più innovativi in campo ambientale: per ogni milione di euro prodotto dalla nostra economia, emettiamo in atmosfera 104 tonnellate di CO2, la Spagna 110, il Regno Unito 130, la Germania 143.
L’Italia è uno dei soli cinque paesi al mondo con surplus manifatturiero sopra i 100 miliardi di dollari. L’Italia è il paese con il saldo attivo più alto in 62 dei 496 prodotti che caratterizzano il settore meccanico nel commercio mondiale. Se si estende l’analisi alle prime tre posizioni, l’industria italiana di settore risulta al top per ben 235 prodotti, circa la metà del totale
L’Italia è in crisi ma non è un Paese senza futuro. Dobbiamo affrontare problemi che vengono da lontano, che vanno ben oltre il pesante debito pubblico. E la crisi mondiale si è innestata proprio su questi mali. Rimediare non è facile, ma non è impossibile. Basta guardare con occhi nuovi al Paese e avere chiaro quali sono i nostri punti di forza.