Articolo pubblicato su Formiche.net

Esiste un collegamento fra la decisione di Eni di disimpegnarsi da Saipem – o comunque di diminuire la propria presenza all’interno della società – e la notizia recente che il fondo pensionistico sovrano norvegese Norges Bank ha investito 8 miliardi aumentando la propria presenza azionaria in alcune società e banche italiane, in primo luogo Autogrill e Mps?

Per spiegarlo mi rifaccio all’intervento “Idea: un fondo sovrano alla norvegese per l’Italia” che Formiche.net ha pubblicato il 27 luglio nel quale ipotizzavo la creazione di un fondo sovrano italiano che, a somiglianza di quello del Paese scandinavo, fosse costituito sbloccando gli investimenti pubblico-privati nel settore oil&gas, per poi utilizzare in maniera trasparente le risorse – solo per l’estrazione di gas oltre le 12 miglia si potrebbero generare introiti per circa 2 miliardi all’anno – sottratte alla fiscalità generale, per sostenere il welfare o trovare la copertura per abbassare le imposte.

E qui si inserisce anche la manovra più intelligente che potrebbe fare lo Stato, cioè salvare Saipem. Nella prospettiva di costruire finalmente una politica industriale italiana di lungo respiro – non scordiamoci che Eni è un’impresa partecipata dallo Stato – la decisione del colosso energetico nazionale di “liberarsi” di Saipem favorendo l’arrivo di un socio industriale o finanziario per deconsolidare il debito della controllata, è una battuta di arresto.

A meno che questo nuovo socio non sia proprio lo Stato italiano – Cassa depositi e prestiti o Fondo strategico o magari proprio il Fondo sovrano alimentato dalle estrazioni gas in Italia – che in questo modo oltre a investire per mantenere il controllo su un’azienda sana, che ha un capitale professionale e tecnologico di livello mondiale, favorendo tutti gli altri investimenti possibili metterebbe la prima pietra per il rilancio del settore oil&gas.

Il destino di Saipem sarà chiaro quando a settembre sotto la regia di Bain&C verrà presentato il prossimo piano industriale, da cui dipende il destino di quasi 9 mila esuberi. Se analizzo la situazione dal mio particolare punto di vista di consigliere regionale – come rappresentante dei cittadini di una regione che mantiene una forte presenza industriale nel settore dell’oil & gas – mi rendo conto che le strategie future previste per l’azienda avranno impatti notevoli sui territori dove opera: dalle indiscrezioni trapelate pare che è in forse l’attività del Centro di Ingegneria di Fano, così come pare che possa essere messo in vendita il cantiere di fabbricazione in Sardegna. Mentre è possibile che sia già iniziata la procedura di trasferimento in Romania del Centro di Saldatura a Cortemaggiore, nel piacentino.

L’obiettivo di Eni è quindi ridimensionare la Saipem, in modo da alleggerire la propria presenza nel capitale della sua controllata: ma questo suona come un ridimensionamento delle ambizioni industriali del Paese in un settore che ci ha sempre visti all’avanguardia. Dunque si deve decidere se Saipem deve diventare un’azienda che si confronta sul mercato con aziende private – e, dunque, governate con la logica del profitto e con strategie spesso di breve termine perché il loro destino è nelle mani delle Borse – quali Petrofac, Herema, AllSeas, o restare un elemento forte e prestigioso del Sistema Paese.

Ritengo che sia venuto il momento di compiere una scelta chiara in materia: decidere di rilanciare i settori industriali avanzati, ad alto contenuto di tecnologia e di innovazione, oppure accontentarsi di restare ‘marginali’. Se si compisse la scelta più coraggiosa, lo Stato italiano potrebbe cominciare anche a pensare di comportarsi come quello norvegese: che investe le risorse provenienti dalle attività di estrazione. E sappiamo bene quanto bisogno ne avremmo, in questo momento.