Articolo pubblicato su Formiche.net

Lettera aperta di Gianni Bessi, consigliere Pd in regione Emilia-Romagna, al presidente del Consiglio Matteo Renzi

Caro direttore,

mi hai chiesto com’è andata la visita dell’Ad di Eni Claudio Descalzi allo stabilimento petrolchimico di Ravenna. La visita ha avuto un riscontro positivo ed è l’occasione per fare insieme una riflessione sui settori della chimica, dell’energia, dell’oil&gas. Una riflessione che voglio costruire come una lettera al presidente del Consiglio, Matteo Renzi.

Caro presidente del Consiglio, Claudio Descalzi ha ragione quando mostra con orgoglio i risultati Eni in materia di sicurezza. Lo ha fatto a Ravenna sottolineando che la storia dell’azienda è nata proprio qui e qui continua a produrre valore. Un orgoglio che ricorda quello di Enrico Mattei, che con Eni creò una azienda in grado di confrontarsi sul mercato mondiale offrendo competenze all’avanguardia nel campo della ricerca, della chimica sofisticata e della estrazione e produzione di energia.

Ecco, da rappresentante dei cittadini mi piacerebbe che questo orgoglio non fosse un sentimento episodico da sfoggiare solo quando in qualche parte del mondo i nostri esperti scoprono un giacimento, ma una consapevolezza di ciò che sappiamo fare. Come sapeva Enrico Mattei.

Per questo, caro Presidente del consiglio, penso che sia il momento di dare la possibilità ai nostri ingegneri e ai nostri tecnici di usare le loro conoscenze anche nel nostro Paese. Che potrebbe beneficiare di quasi 20 miliardi di euro di investimenti sulla ricerca di fonti energetiche.

Perché Claudio Descalzi ha ragione anche quando, rispondendo a una domanda di un tecnico ravennate di Eni, afferma che è difficile investire in Adriatico e nell’oil&gas nel nostro Paese, per le tensioni derivate dall’azione dei movimenti ‘no a tutto’, ma anche per l’atteggiamento di partiti e rappresentanti istituzionali e religiosi. A loro si dovrebbe rivolgere la domanda se sono davvero convinti che l’estrazione di fonti energetiche sia sempre e comunque da demonizzare, un sinonimo di inquinamento, tangenti, rischi di terremoto e catastrofi naturali. O una merce che va comprata a peso d’oro da altri Paesi e che per questo ci rende succubi di qualsiasi incertezza geopolitica; una merce a cui nessuno sa e può rinunciare, perché serve a ricaricare lo smartphone o a mantenere i cibi freschi, a permetterci di utilizzare l’automobile, il treno e l’aereo per viaggiare.

E intanto la rinuncia a sfruttare le nostre fonti energetiche ha un doppio costo: quello dell’approvvigionamento e quello dei giovani che si laureano in ingegneria, geologia, matematica, che debbono espatriare per mettere a frutto conoscenze e capacità. E i nostri territori si impoveriscono di capitale umano oltre che di attività che producono ricchezza.

La rinuncia a sostenere la ricerca e l’estrazione di risorse energetiche nel nostro Paese, caro Presidente del Consiglio, è un problema per tutta l’economia, se si pensa all’effetto di trascinamento che ha sulla filiera italiana dell’impiantistica e componentistica industriale.

Chi sostiene che serve puntare su un’idea forte di sviluppo industriale nazionale, che contempli anche i settori energetico e chimico, viene spesso catalogato come fiancheggiatore delle ‘multinazionali’. Allora per me è venuto il momento di dire no! Perché sto con le persone che lavorano in queste attività nazionali, con chi produce ricchezza, con chi contribuisce a mantenere alta la qualità della vita del nostro Paese.

Ed è sempre per questo, caro Presidente del Consiglio, che ritengo sia venuto il momento di sostenere le nostre imprese chiave. Come Saipem, per fare un esempio che calza a pennello, azienda della galassia Eni, che è una delle principali imprese italiane del settore energetico, su cui il mio parere grazie a Formiche.net l’ho già espresso. Chiedo allora al Governo – che è il maggiore azionista di Eni – se ritiene doveroso difendere i suoi gioielli nazionali, come Saipem o Versalis, e le loro tante professionalità.

Recentemente il premier Cameron alla domanda su una possibile vendita da parte dello Stato Britannico di British Petroleum ha risposto con un secco no.