di Gianni Bessi

Pubblicato su Il Messaggero il 6 febbraio 2016

 

Le posizioni che si stanno confrontando sui contenuti del referendum che dovrà sancire se confermare o meno le concessioni per le trivellazioni a mare, rischiano di ridursi a uno ‘scontro’ ideologico o peggio di ‘opportunismi politici’. Lasciando fuori dal tavolo di discussione, quindi, gli elementi concreti che dovrebbero guidare sempre le scelte quando si tratta di argomenti così importanti. Il primo è che se in questo referendum vincessero le ragioni del no si produrrebbe un effetto devastante sull’occupazione, come ha ricordato recentemente lo stesso Presidente del Consiglio Renzi.

Non ho usato il termine devastante a cuore leggero: stiamo parlando di migliaia di posti di lavoro: limitatamente alla mia città, Ravenna, che è una delle capitali italiane del settore oil and gas (una 60ina di aziende che a Giugno 2015 l’occupazione del settore era di 6.700 unità per un fatturato di circa 2 miliardi di €), negli ultimi 6 mesi se ne sono persi quasi 900. E se vincerà la logica dei ‘notriv’ nel 2016 circa 2.500 lavoratori si ritroveranno a spasso.

Ecco perché piuttosto che alimentare contrapposizioni ideologiche sarebbe meglio andare al cuore dei problemi e capire se vi siano strade percorribili per evitare uno stillicidio di lavoratori (a cui i sostenitori del referendum non hanno risposto su quale occasione di lavoro potranno contare domani). Ci provo partendo da lontano, dalla Gran Bretagna, Paese non meno ambientalista del nostro – anzi – il cui Governo ha deciso di mettere insieme una task force – a cui partecipano politici, esperti del settore energia – per capire quali mosse compiere al fine di salvaguardare il settore oil and gas di sua maestà e con esso il lavoro di 5mila persone. La mia proposta è di costituire anche in Italia un gruppo di lavoro che individui una strategia e azioni urgenti di intervento a sostegno del settore e dell’occupazione, basate su tre pilastri: un percorso che porti in tempi brevi all’uso delle rinnovabili, efficientamento energetico e utilizzo in questa fase di transizione del gas metano nazionale.

È un percorso possibile, anche perché sono proprio le imprese italiane dell’impiantistica meccanica off shore che investono in quella ricerca che ci porterà, si spera il prima possibile, a utilizzare esclusivamente fonti rinnovabili per la produzione energetica. Chi non ci crede lo invito a partecipare all’edizione di quest’anno della REM (Renewable Energy Mediterranean), la conference sull’energia che si terrà il 9 e 10 marzo a Ravenna: sarà sorpreso da quanto sono all’avanguardia e quanto investono su questi temi le nostre aziende dell’impiantistica e dei servizi dell’oil and gas.

Perché un percorso basato su tre elementi, dei quali uno è lo sfruttamento del nostro gas metano? Come dicevano i latini, la natura non fa salti, cioè ogni risultato si raggiunge progressivamente: e per arrivare all’utilizzo esclusivo delle fonti rinnovabili bisogna passare da stadi intermedi in cui dobbiamo comunque produrre energia – nessuno intende rinunciare a ricaricare l’iphone o il tablet, neanche i sostenitori del referendum immagino… – e soprattutto continuare a finanziare la ricerca. Una strada, non ideologica, è quindi continuare a estrarre il ‘nostro’ gas naturale e a utilizzarlo per abbassare la bolletta energetica, per finanziare gli studi sulle rinnovabili e, cosa più importante in un momento economicamente difficile, continuare a finanziare il welfare dei territori. L’alternativa è ‘chiudere’ un altro settore produttivo senza sapere con che cosa sostituirlo: e a furia di abbandonare le attività industriali in cui abbiamo sempre espresso eccellenze, impoveriremo anche i territori, con un effetto pesante sul benessere e sui consumi.

In conclusione, visto che non mancano le strade alternative e di buon senso a un ‘chiudiamo tutto’ – ne ho appena spiegata una – e per il chiaro intento strumentale della campagna di chi vuole bloccare le estrazioni in merito al Referendum, da rappresentante delle istituzioni eletto dai cittadini, ho già scelto da che parte stare: con i lavoratori. Vorrei evitare che il prezzo di una battaglia ideologica venga pagato da migliaia di nostri concittadini che in tutta Italia, dall’Emilia-Romagna – dove la filiera dell’offshore, considerando anche i fornitori della meccanica componentistica, impiega circa 40mila addetti – alla Basilicata, alla Sicilia o all’Abruzzo, hanno il solo difetto di sapere fare bene il proprio lavoro. Vorrei che continuassero a farlo, non solo per loro ma per tutto il Paese. E su questo punto invito tutti a Ravenna al Renewable Energy Mediterranean il 9 e 10 marzo pv.

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