Pubblicato su formiche.net il 16 ottobre 2016

di Gianni Bessi

 

Le innovazioni introdotte dal disegno di legge di riforma costituzionale produrranno importanti vantaggi nella governance delle politiche del lavoro.

Come è noto il processo di decentramento dell’ autorità in materia di politiche del lavoro dallo Stato alle Regioni ha conferito a queste ultime le competenze in materia di collocamento e politiche attive. In seguito, però, il Pacchetto Treu (Legge 24 giugno 1997, n. 196), considerato il primo importante atto di riforma di stampo europeo, ha trovato proprio nel processo di decentramento gli ostacoli maggiori ad una sua piena applicazione.

L’introduzione delle competenze cosiddette concorrenti ha alimentato da subito un forte contenzioso tra Stato e Regioni, che inevitabilmente ha finito per rallentare il processo di realizzazione delle riforme precedentemente avviate. Una parte rilevante dei principi introdotti dal Pacchetto Treu e dalla Riforma Bassanini rimane infatti inapplicata.

Anche con la Riforma Biagi del 2003, gran parte dei principi introdotti da una legge molto innovativa restano incompiuti proprio per la difficoltà di attivare a livello regionale gli assiomi introdotti dal legislatore nazionale. Tra il 2005 ed il 2010, nelle numerose raccomandazioni rivolte al nostro Paese in materia di politiche del lavoro (per garantire l’aderenza agli obiettivi della Strategia europea dell’occupazione), la Commissione Europea ha sottolineato più volte il deficit nella governance del sistema, carente non per la mancanza di norme ma per l’incapacità di implementarle coerentemente.

Ovviamente non tutti i ritardi sono attribuibili all’indeterminatezza introdotta dal principio delle competenze concorrenti, ma è altrettanto difficile pensare che il bassissimo tasso di attivazione delle riforme non sia correlato alla eccessiva frammentazione e sovrapposizione delle competenze tra Stato e Regioni.

Con la modifica dell’articolo 117, vengono attribuite allo Stato competenze legislative esclusive in materia di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, di diritti civili e di previdenza sociale e viene affidata la tutela e la sicurezza sul lavoro ossia la gran parte delle politiche attive del lavoro, Questo consentirà di superare l’incertezza causata dall’attuale situazione che danneggia pesantemente le scelte di investimento delle imprese: per esempio in materia energetica si assiste ad un continuo palleggio tra lo Stato, la Regione e, se si tratta di impatto ambientale, anche tra le Province.

Le organizzazioni del lavoro e le imprese potranno far riferimento ad una normativa nazionale unica sulle politiche ed i servizi per il lavoro. Questo non vuol dire indebolire il ruolo delle Regioni: nell’ambito delle competenze esclusive regionali rientrano numerose materie che consentono alle Regioni di realizzare servizi a lavoratori ed imprese per favorirne la crescita: tra questi, la promozione dello sviluppo economico locale, l’organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese, la formazione professionale e la promozione del diritto allo studio, anche universitario.

Pertanto la riforma del cosiddetto Titolo V, nella parte riguardante la tutela e la sicurezza sul lavoro, aiuta a rafforzare e a realizzare la promessa fatta dai costituenti con l’Articolo 1: l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.