di Gianni Bessi

Pubblicato su IL FOGLIO.it dell’11 novembre 2016

L’Europa tra carbone e gas. L’Italia avrebbe qualcosa da dire alla Signora Merkel

L’eccessiva incidenza del carbone nella produzione energetica continentale è un solido argomento per Renzi per insidiare la potenza tedesca e per promuovere lo sviluppo del gas naturale.

Alla fine del 2015, mentre in Italia cominciava il rimpallo in merito alle ragioni del referendum per decidere se fermare o no le piattaforme che estraggono il gas naturale in Adriatico – e lo stanno facendo da 40 anni – alla COP21 di Parigi gli esperti ambientali e i politici di 196 Paesi raggiungevano un accordo globale, sulla riduzione dei cambiamenti climatici del pianeta. I contenuti del documento prevedono che il mix energetico mondiale debba cambiare rapidamente e sostanzialmente, con un aumento considerevole dell’energia prodotta da fonti rinnovabili e dal gas naturale, con un conseguente calo progressivo di quella prodotta da carbone. Una posizione che ci si aspetta verrà ribadita in questi giorni alla Cop22, che si tiene in Marocco dal 7 al 18 novembre.

Perché il nemico vero del futuro energetico è proprio il carbone. L’ho ripetuto anche alla Leopolda, nella tavola rotonda organizzata per discutere delle strategie energetiche: va abbandonato decisamente, e va fatto a livello di Unione europea, l’utilizzo della ‘fonte carbone’ per sostenere con convinzione quella che è la migliore soluzione per garantire l’approvvigionamento, cioè il mix energetico gas naturale rinnovabili. E in questa direzione, intervenendo in campo normativo, va anche l’adeguamento del Titolo V della Costituzione, se il ‘sì’ vincerà al prossimo referendum del 4 dicembre.

Il gas naturale infatti, a parità di energia elettrica prodotta, genera circa la metà delle emissioni prodotte dal carbone. In particolare COP21 auspica che entro il 2030 l’energia elettrica prodotta nel mondo da fonti rinnovabili possa triplicare rispetto ai valori attuali e che quella prodotta da gas naturale possa raddoppiare. L’obiettivo più ambizioso è quello di cessare la produzione di energia elettrica da carbone entro il 2040. A tutt’oggi il carbone copre ancora oltre il 30% del fabbisogno di energia elettrica nel mondo e causa circa il 70% delle emissioni. In Europa si vive la situazione più paradossale, perché nonostante sia il continente più a cultura ambientalista e negli ultimi anni abbia speso enormi risorse per sostenere lo sviluppo delle energie rinnovabili, ha anche aumentato sensibilmente la produzione di energia elettrica da carbone, di fatto annullando i benefici prodotti dalle fonti rinnovabili in termini di emissioni.

La Germania produce circa il 40% della propria energia elettrica da carbone e ci sono casi, come la Polonia, in cui questo valore arriva al 90%. Ma anche l’Italia vive questo paradosso: la Regione Italiana che registra la massima produzione di energia elettrica da carbone è la Puglia. L’impatto ambientale dell’utilizzo del carbone è notevole: basti pensare che il 90% di quello che si ‘brucia’ in Italia viene importato da altri continenti con circa 60 navi giornaliere, che producono un inquinamento da non sottovalutare.

Per contro, nessuna delle regioni in cui operano le piattaforme di estrazione del gas produce energia elettrica da carbone. Il gas naturale prodotto dalle piattaforme dell’Adriatico è completamente a ‘km zero’, perché è ‘vicino’ e quindi ‘si trasporta da solo’, essendo trasportato nelle nostre case dalla stessa pressione a cui si trova nei giacimenti. Eppure in Italia in molti si sono mobilitati contro le piattaforme e nessuno parla di carbone.

Ma torniamo all’Europa. Le ragioni del paradosso che si vive in Europa sono soprattutto culturali: il messaggio ‘ambientalista’ è in alcuni casi trasmesso da ‘movimenti’ in forma approssimativa, sensazionalistica, ‘ antiscientifica’ e non tiene quasi mai conto di cosa significhi davvero ‘sostenibilità’. La sostenibilità, che ha ispirato i partecipanti di COP21 è la combinazione di tre fattori fondamentali: ambientale, sociale ed economico. Non si può considerare l’aspetto ambientale a discapito di quello sociale: i cittadini europei non possono continuare a vivere in maniera così ‘energivora’ ed accettare che oltre un miliardo e mezzo di cittadini del Terzo Mondo vivano senza energia elettrica. E non si può nemmeno considerare l’aspetto ambientale senza valutare la sostenibilità economica: i Paesi europei non possono destinare enormi risorse ai sussidi per le energie rinnovabili e poi, siccome i conti non tornano, aumentare la produzione da carbone vanificando i risultati ottenuti dall’impiego delle rinnovabili.

Ebbene, di questa ‘sostenibilità’ positiva il nostro Paese può e deve farsi attore e promotore, poiché può contare su una risorsa importantissima. Nel Mare Adriatico l’Italia ha infatti uno straordinario potenziale di sostenibilità ambientale, sociale ed economica. L’Adriatico racchiude una combinazione quasi unica in Europa di risorse naturali (gas e vento), infrastrutture esistenti (piattaforme e terminali), tessuto industriale e competenze tecniche (Polo Offshore). Ho voluto ricordare anche il vento perché nel Polo Offshore dell’Adriatico ci sono già aziende attive anche nel settore dell’energia eolica in mare, che non lavorano però ancora per impianti destinati al nostro Paese ma solo per l’estero.

È forse davvero venuto il momento di rivedere il paradigma dello sviluppo energetico italiano, partendo da una semplice domanda: il taglio dei posti di lavoro e degli investimenti é la strategia più efficace per sviluppare le grandi aziende energetiche e affrontare la transizione energetica dalle ‘vecchie’ fonti a quelle rinnovabili? La risposta, è chiaro, è no. Come ho sottolineato alla Leopolda, la nostra migliore opzione è proprio quella di puntare su un mix di gas naturale, che è davvero estraibile a ‘km zero’ e fonti rinnovabili: in questo modo potremo costruire un percorso soft che ci porti al pieno utilizzo delle rinnovabili senza ferire il nostro sistema industriale dell’oil&gas, che è fatto di imprese cutting edge dove operano migliaia di lavoratori con profili professionali di livello internazionale. E garantire – cosa da non sottovalutare – la nostra sicurezza nazionale.

Queste considerazioni conducono, inevitabilmente, a quella che è la questione centrale per il futuro del settore energetico italiano. È corretto spingere sull’ENI e sul Governo – nella nuova Strategia energetica nazionale – perché quella risorsa fondamentale che abbiamo nel mare Adriatico, il gas naturale e le competenze per estrarlo e utilizzarlo, venga valorizzata? Magari trasformando l’Adriatico nell’area in cui ‘allenare’ il sistema energetico italiano per costruire competenze ed esperienze che permettano, appunto, di compiere la transizione verso il pieno utilizzo dell’energia pulita? E infine, è corretto lottare per questa energia pulita, socialmente utile ed economicamente conveniente?’ La risposta a tutte queste domande può essere solo ‘sì’.