L’intervento di Gianni Bessi, consigliere Pd in Emilia Romagna

Pubblicato su Formiche.net del 3 giugno 2017

Gli imprenditori italiani sembrano credere alla ripresa economica, a giudicare da diverse iniziative. Come quella a Bergamo sulle valvole Oil&gas, la settimana dopo Made in Steel dove sono stati segnalati dati importanti e non casi isolati.

Seguo sempre con interesse, vista la mia passione per le politiche industriali, energetiche e non solo, i dati Istat forniti dalle associazioni legate a Federmacchine. I dati in crescita – a marzo è stato un più 20% – di ordini di macchine e attrezzature e dell’attività del vasto indotto che ruota attorno ai costruttori di beni materiali, confermano gli effetti positivi dell’utilizzo di attrezzature ‘nuove’, che consentono miglioramenti in efficienza, qualità e consumo di energia.

Sono i primi effetti del circolo virtuoso degli incentivi legati ai beni messi in campo dal governo con il programma Industria 4.0?

L’innovazione legata all’industria 4.0 è la frontiera tecnologica-scientifica-ecologica che deve stare alla base di un paese manifatturiero come l’Italia. Che è ai primi posti mondiali nel campo dell’high tech manufacturing. Perché oggi la forza primaria della competizione industriale è l’innovazione tecnologica-scientifica-ecologica e non la globalizzazione.

E se per concretizzare i segnali di ripresa occorre che la crescita per il 2017 dal flebile 0.6% diventi qualcosa di più solido, va ricordato che il tutto passa sempre dal contributo delle immatricolazioni delle automobili, dei veicoli industriali, dei trattori agricoli, così come dalla ripresa degli investimenti in macchine utensili e robot.

Frenare proprio adesso di fronte ai primi segnali di ottimismo degli imprenditori non sarebbe solo un errore ma un peccato mortale, ma è sempre meglio essere prudenti in Italia, visto le tante variabili in campo. Come l’energia e l’acciaio che sono alla base dell’high tech manufacturing: e in tutti e due questi campi la prudenza è d’obbligo.

Nel campo dell’energia all’orizzonte sta spuntando il piano di Trump di vendere i due terzi delle riserve petrolifere strategiche Usa nei prossimi anni. E questo mentre noi siamo ancora in attesa, dopo il decreto Calenda, di leggere il definitivo decreto direttoriale Mise sull’oil&gas… che determinerà quanta parte del piano industriale nazionale Eni presentato a Ravenna il 10 aprile scorso potrà concretizzarsi. Aspettiamo.

Altra variante, l’acciaio. Nel manifatturiero ha un ruolo chiave. Un esempio? La costruzione dei trattori agricoli, che ci vede ancora tra i Paesi leader: e il costo dell’acciaio in un trattore per l’agricoltura rappresenta una percentuale importante sul costo del “prodotto” finito.

Non dobbiamo stancarci di ricordare che l’Italia è una “miniera d’oro” nel manifatturiero, dove le pepite sono le migliaia di aziende che ogni giorno fanno uscire dai cancelli semiprodotti o prodotti finiti che in larga parte sostengono l’esportazione.

Non c’è nulla da scoprire. E così arriviamo all’Ilva…  Il professor Federico Pirro ha analizzato benissimo a 360 gradi quale sia la situazione in questo momento. E cioè: i due piani industriali sul tavolo sono tuttora allo stato confidenziale e ciò che si sa sono solo indiscrezioni da fonti terze. Però sono sufficienti a dare l’idea delle differenze.

Quello che appare chiaro è che entrambi i piani prevedono tagli drastici all’occupazione. Del resto era difficile aspettarsi qualcosa di diverso poiché entrambi prevedono una produzione triennale di 6 mln ton che non giustificano l’attuale organico di quasi 14mila dipendenti.

Alla domanda quale sia la differenza tra le due offerte, sempre sulla base di informazioni non certe, la risposta potrebbe essere la seguente.

Acerol-Mittal, Marcegaglia e soci produrranno da ciclo integrale inizialmente 6 mln ton per portarle ad 8 dopo 3/5 anni con il riavvio dell’AFO 5 (il più grande di Europa, fermo dal 2015). I 2 mln aggiuntivi sarebbero bramme (è lo stato precedente alla laminazione per ottenere i coils) che verrebbero trasformate in coils a Taranto per poi essere venduti come tali oppure riprocessati per ottenere prodotti a maggior valore aggiunto (coils laminati a freddo, zincati, ecc).

Acciaitalia partirebbe sostanzialmente con lo stesso numero di tonnellate prodotte. Il piano prevede successivamente l’installazione di due forni elettrici  per raggiungere anche in questo caso i 10mln (valore di produzione che consentirebbe di riassumere buona parte del personale in esubero ad avvio del piano). La novità, che tanto piace a Emiliano e a molti politici locali, starebbe nel fatto che il progetto prevede di ridurre (non eliminare) la dipendenza dal carbone nelle fasi produttive impiegando il preridotto ottenuto da impianti (da installare a Taranto) che si avvalgono del gas come fonte energetica fondamentale nel processo di riduzione del minerale in pellets impiegabili poi direttamente nei processi di fusione dell’acciaio. Con tutti i benefici ambientali che ne deriverebbero.

Per entrambe le cordate la diminuzione occupazionale è un passaggio inevitabile ed il governo dovrà studiare forme ad hoc per ammortizzare l’impatto attraverso forme di Cigs che consentano di arrivare alla fase due di entrambi i progetti.

Uno dei due protagonisti, Jindal, ha incontrato Calenda ed i suoi tecnici per esplorare la possibilità di rilanciare l’offerta per acquisire l’azienda. Ma la possibilità non è stata prevista dalla procedura di vendita.

Resto convinto (leggi qui) ), che sia importante contrastare posizioni oligopoliste sulla produzione e distribuzione dei prodotti e sottoprodotti in acciaio in Italia. E consentire al nostro sistema paese di avere un ruolo di protagonista nell’industria di trasformazione dell’acciaio in Europa.

Ecco perché spero che il mio timore che tra tre anni ogni scusa o tentazione (mercato, prezzi, concorrenza, o altro ancora) sarà buona per ridimensionare definitivamente Taranto sia totalmente infondato.

Lasciamo perdere trionfalismi o pessimismi. Resta la speranza di non deludere le molte energie e la passione delle imprese, dei tecnici e dei progettisti, di quel “popolo” vasto del settore manifatturiero che è fatto di migliaia di persone con competenze di livello internazionale.

E che rappresentano la nostra speranza di ripresa economica, sociale, ambientale e culturale di sistema-Paese.