Pubblicato su  Osservatoriorti.com del  16 febbraio 2018

Nel 2014 Gianni Bessi è stato eletto nel Consiglio regionale dell’Emilia Romagna e, – da allora – in seno all’assemblea si occupa di politiche economiche, affari generali e istituzionali e pari opportunità. Originario di Ravenna, nel suo passato politico Bessi – esponente del Partito Democratico – ha avuto diverse esperienze nelle amministrazioni locali: nel consiglio provinciale di Ravenna prima e nell’amministrazione comunale della sua città poi. Il suo curriculum lo ha portato ad essere un esperto conoscitore dei differenti livelli amministrativi e un sostenitore del principio di sussidiarietà previsto anche dalla Costituzione. In questa intervista ci ha raccontato come la corretta applicazione dell’articolo 116 abbia reso l’Emilia Romagna “libera di decidere come investire parte delle risorse e di gestire in modo più efficace i servizi e le politiche per il lavoro, le imprese e i giovani”.

Partiamo dagli ultimi dati fatti registrare dall’economia dell’Emilia Romagna. Qual è lo stato dell’arte?

Solo qualche numero: l’Emilia-Romagna nel 2017 è stata la prima regione italiana, insieme alla Lombardia, per quanto riguarda la crescita economica. E le previsioni per il 2018 indicano che sarà ancora la prima, ma stavolta in solitaria davanti a Piemonte e Lombardia. Il prossimo anno il Pil dovrebbe assestarsi all’1,9 % – 0,3 punti in più della media nazionale – mentre la disoccupazione scenderà al 5,8 dal 9% del gennaio 2015, quando è iniziata la legislatura. Il giudizio lo lascio ai lettori di I-Com.

Che tipo di gioco di squadra esiste – se esiste – tra regione e aziende nell’ottica di garantire lo sviluppo e la crescita economica del territorio?

Prima cosa, niente trionfalismi. E poi la caratteristica della crescita emiliano-romagnola è l’essere stata costruita su basi solide, sulla partecipazione alle scelte di tutte le componenti della società: è un processo di crescita che le statistiche, da sole, non riescono a descrivere. E non è ancora finito, anzi è da consolidare. Perché non ci accontentiamo di avere ottenuto un risultato positivo nel breve periodo ma vogliamo tornare ai livelli di sviluppo pre-crisi, soprattutto alla voce occupazione, in quantità e in qualità.

Quali sono i settori produttivi che stanno trainando l’economia della regione?

L’anno scorso l’agroalimentare ha messo in archivio una performance notevole, come anche le costruzioni, che dopo anni di sofferenza sono ripartite. Nel 2018 toccherà all’industria fare la parte della locomotiva regionale. Ma il dato che definisce al meglio la forza dell’economia dell’Emilia-Romagna è quello delle esportazioni: nel 2017 sono riprese fino a toccare il 3,7%, ma sarà nel 2018 che raccoglieremo i frutti maggiori, perché toccheranno il 5,5%, una quota superiore alla media nazionale. Tra i settori che hanno un potenziale di crescita notevole, c’è quello dell’energia. In regione sono 10.000 i lavoratori impiegati direttamente nel settore, in 976 aziende. Ma il numero di occupati è molto più alto se si tiene conto dell’indotto. E l’Eni ha 2 miliardi di investimenti per i prossimi 4 anni per l’adriatico. Prendere o lasciare? Io prenderei.

L’Emilia Romagna ha avviato un percorso di autonomia differenziata in base a quanto previsto dalla Costituzione. Perché e con quali benefici?

L’idea che ha spinto la Regione a chiedere l’applicazione dell’articolo 116 della Costituzione è quella di potere decidere come investire parte delle nostre risorse per gestire in modo più efficace i servizi, le politiche per il lavoro, le imprese e i giovani. Ciò significa, a mio avviso, essere una macroregione europea. Il tutto funzionerà se politici, imprese, sindacati, associazioni e cittadini si metteranno seduti intorno allo stesso tavolo per confrontarsi e contribuire alle scelte comuni.

In questo senso quale pensa sia l’assetto migliore dei rapporti tra stato centrale e regioni?

Chi lavora nella politica, a ogni livello, deve fare in modo che i fatti seguano alle parole. Ed è necessario testimoniare nella quotidianità la volontà di affrontare i problemi così come sono, senza proporre soluzioni miracolistiche. Il mondo va affrontato con pragmatismo, risolvendo un problema alla volta senza raccontare favole. Invece di fronte alle questioni si temporeggia perché il primo problema è non perdere voti alle elezioni successive, che in Italia sono sempre alle porte. Ecco credo che non sia difficile trovare provvedimenti che funzionano a livello regionale o statale senza cambiarli ogni volta che cambia il partito al governo.

Le imprese si attendono pianificazioni e strategie precise per poter investire. Cosa sta facendo a tal proposito l’Emilia Romagna?

L’elemento su cui ruotano e ruoteranno le strategie regionali per lo sviluppo è “Il patto per il lavoro” con le componenti sociali che ha dato risultati oltre le aspettative. Poi non faremo l’errore di pensare solo alle imprese cutting edge – quelle di punta, le più innovative – che pure sono tante in regione, perché il sistema funziona se riesce a crescere in modo uniforme e se riesce ad avere progetti di lungo respiro. Un esempio in questo senso è il porto di Ravenna sul quale esiste un piano che tra risorse pubbliche e private muoverà circa 500 milioni di euro. Non è importante solo per la città, ma per tutta la pianura padana e per i suoi distretti produttivi. Questo perché integrando infrastrutture e servizi si creano le condizioni per costruire una catena di valore che coinvolge i soggetti economici.

Dove c’è ancora da lavorare e migliorare?

Si può, anzi si deve migliorare in tutti i settori. Non c’è un punto più debole su cui lavorare ma l’esigenza di continuare a far crescere l’economia in maniera omogenea. E se dovessi indicare un elemento su cui spendere qualche energia in più, punterei sulla scuola. È indispensabile operare per abbassare la dispersione scolastica, ma anche per fare in modo che ognuno possa portare a termine il percorso formativo per il quale possiede passione e talento. Molti giovani non sanno cosa fare perché non hanno una specializzazione adeguata: aiutiamoli a trovare la propria strada. Questo, almeno, è quello che dovrebbe fare una società moderna.

Il prossimo 4 marzo gli italiani saranno chiamati al voto. A prescindere dalle connotazioni partitiche, cosa si attende dalla prossima legislatura? Di cosa ha bisogno una regione come l’Emilia Romagna dallo stato?

Di lavorare. Di lavorare mantenendo qualità amministrativa, economica, sociale e culturale. Perché il lavoro di qualità crea redditività per tutta la comunità. E un po’ di serenità.