Pubblicato su Startmagazine.it del 28 marzo 2018

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Prima puntata dell’approfondimento di Gianni Bessi sulle elezioni svolte in Russia e non solo…

Le elezioni presidenziali in Russia si sono consumate con un plebiscito a favore di Putin. È successo quello che tutti sapevano. L’unica incertezza era quanti russi sarebbero andati a votare. Un secondo trionfo. House of Zar aspettando di sedersi a fianco di Vladimir nella tribuna dello Stadio Lužniki di Mosca per il calcio d’inizio dei mondiali di football continua a puntare la sua curiosità sugli elementi che mettono la Russia sotto i riflettori della sua dimensione euroasiatica e anche di quella globale. «Tenere unito il fronte degli alleati». Una dichiarazione del Premier Britannico Winston Churchill durante gli anni tragici della guerra? No, sono le parole di Teresa May nelle giornate in cui la tensione è salita dopo l’agguato a Salisbury ai danni dell’ex spia e doppiogiochista Sergej Skripal e di sua figlia Yulia, poco prima le elezioni presidenziali russe.

E qual è stata la risposta, scontata, di Putin, rivolta al suo popolo? «Siamo condannati a vincere». È il 18 marzo 2018, subito dopo l’incor…pardon l’elezione al suo quarto mandato di presidente dei 144 milioni cittadini di quella Federazione Russa fatta di immense Oblast (regioni) o Kraj (territori). E qui serve riprendere la citazione dal Delitto e castigo Dostoevskij: “Che volete? Le nostre vie nazionali sono lunghe. La cosiddetta Madre Russia è grande”.

Un’analisi del voto? No, passiamo la mano. Il Putin IV affonda le sue profonde radice nella Madre Terra. Una terra segnata da una storia di invasioni (spesso solo tentate invasioni…), dai mongoli ai tartari, da Napoleone a Hitler, ma che ha sempre dimostrato resistenza e resilienza che sono una delle cifre del carattere del suo popolo, anzi dei suoi diversi popoli. Napoleone, solo in apparenza sprezzante, affermava: «gratta un Russo e trovi un tartaro». Non sapeva, o confondeva, la storia. Però forse voleva esprimere una ammirazione della profonda capacità di sopportazione, di pazienza e, perché no, di lungimiranza della cultura russa. Della sua coesione di fronte al pericolo. Una cultura che si nutre di tanti e diversi simboli, immagini, storie, leggende, ricordi e ossessioni. Un’idea che ha resistito alla gloria e alla caduta di imperi e soviet.

Per questo non ci dobbiamo stupire se l’inno nazionale russo ha la stessa musica di quello sovietico, solo con parole differenti (ci mancherebbe). Come non ci si deve stupire quando, mentre le orchestre e i cori ufficiali suonano e cantano il testo ufficiale, le truppe e i cittadini intonano a voce più forte quello originale della repubblica socialista sovietica. Nostalgia dell’Urss? È più complicato di così.

Un esempio. Correva l’anno 2016 e molti ricordano la commozione dell’ex Kgb Vladimir Putin mentre pronuncia la parola “patriota” in relazione della morte del principe Dimitri, l’ultimo dei Romanov. Chi l’avrebbe mai detto? Eppure, in Russia succede.

Possiamo interpretare questo spirito appoggiandoci alle convinzioni dell’ideologo conservatore Aleksandr Dugin? Comunque, l’ideologo di Putin ne è un interprete, un “messaggero”. Dugin non è, come molti insinuano, un novello Rasputin, lo sciamano siberiano caduto in disgrazia perché trovatosi nel mezzo delle faide dei boiardi zaristi, ma un filosofo che con la sua opera, “La quarta teoria Politica”, non solo teorizza la decadenza dell’Europa, che a suo parere sarebbe vittima delle ideologie liberali, ma esalta lo spirito euroasiatico. Uno “zeitgeist” che ha influenzato le nuove forze reazionarie che si stanno affermando nel mondo. Non solo Steve Bannon si è fatto crescere la barba per assomigliargli, ma ha ripreso a piene mani le tematiche di Dugin. E non stupiamoci se vedremo Dugin, dopo Bannon, presentare “La quarta teoria Politica” insieme al futuro Presidente del consiglio di un certo Paese mediterraneo…

Ma niente paura: la Madre Russia è grande, molto più grande di Aleksandr Dugin, che viene sicuramente letto con attenzione da tutti i generali russi ma che non è l’unico ad affiancare Vladimir Putin. Vicino allo ‘Zar 4.0’ c’è anche Kirill, il Patriarca ortodosso di Mosca, che tra prospettive apocalittiche da lui evocate sempre più spesso e l’incontro storico con Papa Francesco a Cuba, ribadisce la responsabilità della Russia di essere la “coscienza” (sovestlivost’) della comunità internazionale e la vocazione di diventare la terza Roma.