Pubblicato su Start Magazine del 3 agosto 2018

L’analisi di Gianni Bessi sul ruolo potenziale di Mosca nell’utilizzo del gasdotto Tap.

Le dichiarazioni del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte nel corso della sua visita ufficiale di lunedì 30 negli Stati Uniti rappresentano uno dei momenti più alti nell’italica arte politica dell’equilibrismo. Questa volta la protagonista di tale ingegnosità è la materia energetica.

Fin da quando alla fine del 2013 il Consorzio conosciuto con l’acronimo inglese di Tap, Trans-Adriatic Pipeline, nato per realizzare il gasdotto di 4000 Km che dovrebbe collegare via terra l’Azerbaijan all’Italia, ha dato il via libera ai lavori, il progetto ha suscitato una notevole opposizione di comitati più o meno spontanei (NO Tap) nella zona di atterraggio in Italia presso Melendugno (Lecce). Il gruppo Tap ha conseguito i necessari permessi da parte dell’allora governo centrale per costruire le sezioni italiane del progetto e non sono mai apparsi preoccupati per le crescenti tensioni sul territorio. Inoltre, nel corso dell’ultimo anno, Snam, azienda che sul trading e la distribuzione di gas può vantare qualche esperienza, è diventata un azionista del 20 per cento in Tap nel dicembre 2015, ed ha svolto un ruolo sempre più prominente nell’organizzazione del settore italiano del progetto, forte delle proprie analisi che prevedono un progressivo aumento del 22% nel consumo di gas da qui al 2030.

La chiara opposizione pre-elettorale alla questione Tap, insieme al Referendum Notriv del 2016, è tra i fattori caratterizzanti del risultato ottenuto in Puglia dal Movimento Cinque Stelle alle ultime elezioni, dove ha conquistato tutti i 24 seggi uninominali. La Lega apparentemente si disinteressa della questione, lasciando che sia il partner di governo a mettere la faccia in materia nei primi passi del nuovo governo giallo verde blu (nda giuramento Governo Conte 1 giugno scorso).

Martedì 12 giugno è data che segna, a parere unanime del network House of Gas, l’inizio delle prime vere preoccupazioni in seno al Consorzio Tap. Mentre i pezzi critici del gasdotto sono già posati, tra cui quasi tutte le sezioni di 765 km onshore in Grecia e in Albania, il collegamento all’Italia ed ai principali clienti risulta ancora una grossa incognita. In particolare, la posa della condotta sottomarina, 105km dall’Albania all’Italia, deve ancora essere iniziata, e anche se alcuni lavori preparatori sono stati effettuati per il micro-tunnel alla riva italiana destinato a veicolare il gas per cinque-a-sei km sotto la spiaggia fino al Terminale di ricevimento a San Foca, il progetto riceve diverse dichiarazioni di contrarietà da parte di autorevoli rappresentanti della nuova coalizione di governo.

Tuttavia, il tempo della pausa e delle dichiarazioni è giunta al termine ed il Progetto Tap è ora in forte pericolo, qualora il governo italiano decida di mantenere, come sembra, gli impegni pre-elettorali revocando le licenze esistenti o trovando qualche altro modo per fermare le operazioni in Italia o in acque italiane. La retorica di Roma minaccia di minare gli ingenti investimenti già portati a termine, senza che possa essere identificato un piano B. Se non vi è alcuna connessione in Italia, il destino di miliardi di dollari di contratti garantiti dalla compagnia petrolifera statale della Repubblica Azerbaijan (Socar) per le vendite di gas a lungo termine per i clienti europei sarebbe in pericolo, aprendo nel caso la strada a contenziosi pecuniari per ottenere gli alti indennizzi da parte di Roma.

Peccato per il nostro governo che Donald Trump si sia sempre mostrato favorevole alla costruzione al Tap (per il semplice fatto che l’Azerbaijan non soltanto è un produttore di gas ma è anche uno dei pochi stati della regione con cui l’America intrattiene un rapporto molto amichevole ed in posizione strategica alle porte dell’Iran) e che Vladimir Putin non vi si sia mai mostrato ostile; entrambi i Paesi sono referenti importanti per un governo in cerca di ritagliarsi un ruolo ed una visibilità internazionale. Nel corso dell’incontro di Washington di lunedì scorso il Potus tra tanti sorrisi ha ricordato al premier italiano quali siano i nostri diritti (pochi) e doveri (tanti).

A questo punto Giuseppe Conte, mostrando una coerenza di cui gli elettori della coalizione che rappresenta potranno andare fieri, definisce repentinamente il Tap, «un’opera strategica per l’approvvigionamento dell’Italia e del sud Europa», rinnegando dichiarazioni totalmente avverse alla realizzazione dell’opera sia in campagna elettorale che nei suoi primi mesi di governo. Entrato alla Casa Bianca con i timori del caso non ha saputo negare nulla al cordialissimo anfitrione che, nel tentativo di gettare sabbia nella potente macchina economica franco-germanica si è sperticato in elogi vacui dell’Italia e del suo “my friend” Giuseppe, forte della convinzione che a un nuovo amico non si nega alcun piacere. Tanta lusinga ha fatto breccia nel nostro premier che in men che non si dica ha trasformato in pochi giorni un’opera “inutile, poiché la domanda di gas è in calo” (cit. Ministro Ambiente Costa) in una indispensabile per gli sviluppi del Sud Europa. Washington vede con molto favore la continuazione dei lavori per ultimare l’opera nei tempi previsti e chiede al governo Conte-Di Maio-Salvini il rispetto del progetto, offrendo in cambio favori geopolitici (forse in Libia?).

Cosa c’entra la Lega in tutto questo se non di riflesso? C’entra, poiché il South Gas Corridor (SGC), di cui Tap fa parte, è destinato a permettere che il gas del Caspio acceda ai mercati europei. Tuttavia l’Azerbaijan può essere considerato come fornitore affidabile solo per una quota iniziale di 6 miliardi metri cubi (BCM) di gas l’anno per consegna alla Turchia e 10 BCM all’anno per i Clienti europei. Né l’Azerbaigian, né qualsiasi altro produttore di gas, al di fuori della Russia, è in grado di fornire gas per colmare il raddoppio previsto della capacità SGC. Ciò ha spinto Gazprom, seppur con attenzione e occasionalmente, a far balenare l’idea che potrebbe essere interessata a usare il sistema del SGC per spedire il gas russo all’Europa attraverso un collegamento tra il suo attuale progetto di gasdotto turco (Turk Stream) e il sistema Tap già destinati ad intersecarsi nella stazione di Kiyikoy (località balneare sul Mar Nero nella parte europea turca).

Questo porta ad un pensiero finale intrigante. La capacità del gasdotto più alta della capacità di esportazione dell’Azerbaijan, offre alla Russia un modo per raggiungere i mercati dell’Europa occidentale in barba a tutti i veti UE senza dover spendere miliardi di dollari per costruire i propri gasdotti per connettere il Turk Stream ai principali hub del mercato come l’Italia o l’Austria. Questo ragionamento — e opportunità —spingerebbe la Russia, alla bisogna, a chiedere supporto all’altro importante elemento del governo di coalizione italiano, la Lega con la quale ha sviluppato relazioni amichevoli negli ultimi anni.

Visto, come ci ricorda il network House of Zar, lo ‘storico’ accordo della Lega con Russia Unita dove Salvini si impegna a ‘facilitare’ la cooperazione tra Federazione Russa e la Repubblica Italiana.
E agli amici, si sa, non si nega mai niente.