Pubblicato su StartMagazine.it il 17 gennaio 2019

di Gianni Bessi

 

Il ruolo di Eni-Versalis dopo l’acquisizione di Mossi&Ghisolfi e il futuro della chimica italiana nell’intervento di Gianni Bessi

 

A cavallo tra vecchio e nuovo anno è tempo di classifiche, resoconti, analisi previsionali, ecc.

Tra i tanti report non manco mai di leggere il Responsible Care, il Programma volontario dell’industria chimica mondiale, con il quale le imprese, attraverso le federazioni e le associazioni chimiche nazionali, si impegnano a realizzare valori e comportamenti di eccellenza nelle aree della sicurezza, della salute e dell’ambiente, per contribuire allo sviluppo sostenibile del pianeta.

Il Programma Responsible Care, si legge nella presentazione, è adottato in Italia da 165 imprese associate a Federchimica che, con 30,3 miliardi di euro, rappresentano circa il 55% del fatturato aggregato dell’industria chimica del Paese.

È importante seguire le analisi di questo settore: spesso infatti anticipano le tendenze dell’economia perché le aziende chimiche operano tendenzialmente all’inizio del ciclo complessivo della produzione di un sistema Paese, specie se manifatturiero e con vocazione all’export come è l’Italia.

Il comparto non ha bisogno di presentazione: in tutto il mondo la chimica italiana è conosciuta, apprezzata, a volte invidiata per le notevoli scoperte e per la preparazione delle sue maestranze.

Valorizzazione ed efficienza delle 350 mila lavoratori è uno dei parametri per leggere i risultati del 24° Rapporto: i dati che emergono riguardano la sicurezza e l’attenzione per la salute del personale impegnato sui luoghi di lavoro e rispetto al comparto manifatturiero un minore numero di infortuni rispetto alle ore lavorate. La chimica, e in particolare la sua filiera italiana, è una delle colonne portanti dello sviluppo tecnologico industriale così come uno dei principali sbocchi lavorativi per chi esce dalle scuole tecniche e dalle università. Sono elementi a di cui un Paese avanzato non può rinunciare.

Eppure il settore chimico (e più in generale la politica industriale italiana), nonostante la sua potenzialità, sconta limitazioni che possono compromettere la sua capacità di sviluppo. Da una parte l’annoso problema dei costi energetici italiani (che nella chimica sono un fattore di competitività importante), più onerosi rispetto ai principali concorrenti europei, ma anche un ritardo dello sviluppo di un’adeguata rete infrastrutturale per lo smaltimento o il recupero, anche energetico, dei rifiuti.

Le previsioni di Federchimica per il 2019 indicano qualche segnale di frenata, tenuto conto anche della crescita complessiva del sistema Paese che scenderà allo 0,7% rispetto all’1% del 2018. E questo non è mai un buon segnale.

Ma visto che siamo all’inizio dell’anno non posso che guardare al futuro con ottimismo perché nel 2018 qualcosa di importante è successo nel cielo della chimica italiana.

La scelta di Eni-Versalis di acquisire il know how della Mossi & Ghisolfi per l’utilizzo di materie prime rinnovabili, soprattutto biomasse, è un’altra ‘buona notizia’. Ecco che Versalis, società che fino a poco tempo fa sembrava soltanto una voce dell’elenco vendite di Eni, ha iniziato una fase nuova. E con lei la chimica italiana, perché ricordiamoci che non esiste una chimica italiana senza Versalis-Eni.

L’acquisizione di una realtà importante della “chimica green”, infatti, permetterà di proseguire lo sforzo competitivo nei mercati internazionali portato avanti dall’amministratore delegato Daniele Ferrari e dai 5.200 dipendenti Versalis – di cui 4.200 occupati in Italia – sui progetti di ricerca e sviluppo. La controllata Eni è sempre più una ‘piattaforma di aggregazione’ dei due volti della chimica nazionale: quella tradizionale e quella ‘green’.

E qui confesso che da emiliano-romagnolo credo che la mia regione potrebbe svolgere un ruolo di riferimento in questo processo innovativo, perché possiede già una “rete integrata della chimica”, cioè il quadrilatero Ferrara-Mantova-Venezia-Ravenna, che collabora strettamente coi luoghi dove si studia e si progetta la nuova chimica, dall’Università ai centri di ricerca. E, non da ultimo, in Emilia-Romagna è attiva una piattaforma logistica di primo piano quale il porto di Ravenna.

Questo sistema regionale della chimica, nell’ottica di puntare sempre più a un’economia circolare, grazie alla qualità dei suoi prodotti plastici e petroliferi, penso in particolare all’etilene, è in grado di integrarsi con altri settori a cominciare dalla filiera agroindustriale della pianura padana.

L’obiettivo è mantenere la competitività della chimica italiana, che è un settore strategico come ci ricorda proprio il Responsible Care. A patto che vogliamo continuare a investire su ricerca e innovazione, sulla sostenibilità, sull’efficienza, sulle rinnovabili e sulla chimica green.

Sarebbe una mossa saggia se il governo, visti anche gli annunci fatti durante l’incontro del presidente del Consiglio Giuseppe Conte con i responsabili delle 13 eccellenze italiane – cioè le aziende partecipate dallo Stato tra cui Eni – accompagnasse questo percorso di consolidamento industriale del sistema Italia con una strategia di lungo respiro.

Per esempio, non mi stancherò mai di ripeterlo, attraverso l’intervento di Cassa depositi prestiti che attualmente è impegnata nel sostegno di molte attività economiche ma non della chimica.

I cervelli e le maestranze non ci mancano, anzi: quello che serve adesso è una politica che per fare ripartire lo sviluppo si affidi alle capacità dei nostri protagonisti nazionali, ai nostri “champion national”. Dovremmo cominciare a fare come i francesi, che i propri settori strategici li difendono e li sostengono con scelte politiche forti.