Pubblicato su Il Foglio.it del 17 gennaio 2019

Mentre il governo cerca un accordo sulle attività di ricerca e sfruttamento di gas e petrolio, tre impiegati del settore ci raccontano cosa vuol dire lavorare nell’upstream

di Maria Carla Sicilia

Mettere le fonti di energia una contro l’altra è un’emerita sciocchezza, nota nel suo saggio “Energia e clima” l’ex ministro e professore Alberto Clò. Non solo per i validi motivi da lui individuati – uno su tutti: nessuna fonte può totalmente sostituirsi alle altre nella produzione di beni e nel soddisfacimento dei bisogni – ma anche perché c’è il concreto rischio di alimentare infondate contrapposizioni ideologiche ​tra i settori industriali, coinvolgendo anche i lavoratori. ​Il sospetto che ciò sia avvenuto è piuttosto fondato, dopo ​avere raccontato per anni di un futuro green molto prossimo e a costo zero, puntando il dito contro ​le attività del​l’Oil&Gas. A raccontarlo al Foglio sono gli stessi operai e impiegati del settore​, i “caschi gialli”, che hanno deciso di intervenire nel dibattito e preso parola anche sui social, ora che il governo discute del blocco delle attività di ricerca e sfruttamento dei giacimenti di gas e petrolio

Il M5s ha deciso di provarci con un emendamento al decreto Semplificazioni che la Lega osteggia, ma altre tre proposte meno gravose, sempre a firma del M5s, potrebbero ugualmente cambiare le regole, aumentare i canoni di concessione e vietare la tecnica esplorativa dell’air gun, costringendo così alcuni progetti autorizzati a sottoporsi nuovamente alla Via. “Gli investitori fanno fatica a capire perché in Italia cambia sempre tutto – dice al Foglio Ilaria, che da oltre 10 anni ​lavora nel settore​ ​– e la politica non comprende quanto è forte l’impatto economico e di reputazione che questo comporta”. A dettare l’agenda, più che una visione di politica energetica, sembra essere l’umore di quella parte dell’elettorato che riesce a fare più rumore, e i “no” da sempre sono più mainstream dei “sì”. “E’ difficile spiegare ai non addetti ai lavori che estrarre idrocarburi in Italia valorizza le risorse e le professionalità del paese”, dice Ilaria, che si occupa proprio di comunicazione per un’azienda in​ nord​ Italia. “La nostra è un’attività complessa, talmente regolamentata che non è possibile fare le cose male o di nascosto. Ma forse non siamo riusciti a spiegare bene tutto questo. A volte succede che più ti esponi e più la reputazione ne risente. E’ vero che si tratta di un problema generale dell’industria, però sembra che nei nostri confronti ci sia un pregiudizio maggiore. Credo sia arrivato il momento di fare autocritica e cambiare il modo in cui ci rappresentiamo al mondo esterno”. Ma in un dibattito fatto di contrapposizioni può essere difficile fare passare anche i messaggi più semplici. “Le risorse che abbiamo non ci permettono di raggiungere l’autonomia energetica – spiega Pierluigi, geologo e consulente in Italia e all’estero – ma ridurre l’import, evitando che anche solo una petroliera si metta in viaggio è un risultato importante per combattere l’inquinamento​​​, è ​più sicuro e rappresenta ​un costo in meno​”. In Italia, ricorda il geologo, si sviluppano tecnologie di qualità che vengono esportate in tutto il mondo. “Anche la nostra normativa è all’avanguardia, è un modello per la tutela dell’ambiente e dei lavoratori. Chi decide deve tenerne conto: non può essere la retorica a guidare la politica, ma i dati e la realtà. Fra la fotografia dell’oggi e il sogno del domani, la strada va presa con estrema attenzione”.

Secondo Assomineraria, sono circa 20mila i lavoratori del settore fra diretto e indotto. Il distretto dell’Emilia Romagna è uno dei più importanti, con circa 10mila addetti e quasi mille imprese. Rendere all’improvviso non redditizi gli investimenti per un cambio di normativa può avere un impatto a cascata su tutto il sistema. Non tenere conto dell’eventuale costo sociale sarebbe un errore. “Il comparto è stato già decimato tra il 2014 e il 2016 e io stesso da lavoratore dipendente sono oggi un consulente”, dice Carlo, abruzzese, nel settore dal 1995. “Per fortuna le aziende ti formano tanto e in qualche modo riesci a sfruttare le tue qualifiche”, per esempio viaggiando, come ha fatto Carlo, in tutto il mondo. “Il pregiudizio – aggiunge – è alla base di qualsiasi errore e con chi si oppone al nostro lavoro abbiamo sempre cercato il confronto”. Come nel 2008, quando nei pressi dei cantieri per la perforazione del pozzo Ombrina Mare c’erano i presidi dei NoTriv, al porto di Ortona. “Ho spiegato ad alcuni di loro cosa stavamo facendo con i detriti, che vanno raccolti e poi portati nei centri di stoccaggio per essere trasformati in materiali inerti. Parlare con chi ha voglia di ascoltare di solito funziona e qualche pregiudizio lo elimini”. In quell’occasione però hanno vinto i “no” e il progetto è stato bloccato alla vigilia del referendum, con la legge di Stabilità del 2016. La Rockhopper ha chiesto un risarcimento di 275 milioni di euro ed è in corso un arbitrato internazionale. Ricordarlo oggi potrebbe essere utile.