Pubblicato su StarMagazine.it il 29 gennaio 2019

di Gianni Bessi

Tutte le contraddizioni del governo e del premier in campo energetico a latere dell’accordo strategico firmato da Eni negli Emirati Arabi Uniti. Il commento di Gianni Bessi, autore del libro “Gas naturale – L’Energia di domani” edito da Innovative Publishing

Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, era presente alla firma di un accordo con cui Eni, il nostro “campione nazionale” dell’oil&gas, ha acquisito il 20 per cento di Adnoc Refining, il colosso degli Emirati Arabi. Un grande affare, che permette di aprire sbocchi commerciali in Europa, Africa e anche Asia.

Il primo ministro ha compiuto il proprio dovere, rappresentando il nostro Paese a un tavolo dove si è stretta un’alleanza importante per il futuro di una delle più importanti aziende partecipate e, in generale, per la nostra economia.

Giuseppe Conte, però, è lo stesso primo ministro a capo di un governo che ha appena approvato un emendamento che mette in ginocchio il settore oil&gas italianoMa ha un fratello gemello, quello che ha invitato gli amministratori delegati delle tredici partecipate (tra cui Eni) a un incontro a Palazzo Chigi per conoscere i progetti industriali e gli investimenti in Italia in modo da costruire una cabina di regia per sostenerli. Ed è stato lo stesso gemello a dichiarare che Tap, la pipeline che porterà il gas azero in Italia attraversando i Balcani, è «un’opera strategica per l’approvvigionamento dell’Italia e del sud Europa». Un bel salto mortale, visto che la stessa infrastruttura è stata denigrata per anni dall’azionista “pentastellato” del suo governo. 

Sì, sto parlando del famoso “blocca trivelle” con cui sono state bloccate la prospezione e la ricerca di idrocarburi, cioè le attività collegate all’estrazione di gas naturale. Un emendamento che in pratica sancisce la definitiva crisi del settore.

Riepilogando: il governo da una parte approva un accordo che sostiene il nostro settore energetico, e l’attività di Eni, perché si consolida una fetta importante di business nel mercato mediorientale, con applauso finale come sempre avviene quando il Cane a sei zampe chiude contratti a molti zeri (vedi mega giacimento Zohr in Egitto, per intenderci). Dall’altra impedisce che la stessa attività di estrazione venga compiuta in Italia, in particolare nei giacimenti dell’Adriatico. 

Insomma, sia Eni sia le imprese del settore impiantistico e ingegneristico dell’oil&gas sono celebrate quando fanno affari all’estero, ma vengono boicottate quando chiedono di investire in Italia e anzi incoraggiate a investire, vedi discorso della già citata cabina di regia. E fare lavorare, grazie a questi investimenti, migliaia di maestranze italiane.

Il fatto che il gas – e questa è un’ennesima contraddizione – è demonizzato solo in casa nostra – mentre altri Stati, altrettanto attenti, se non di più, alle questioni ambientali – l’hanno scelto come componente del mix che dovrà sostenere la transizione energetica verso le rinnovabili significa che forse non è così pericoloso. Ma che è finito alla sbarra perché si doveva trovare una ragione per approvare un emendamento dalla forte componente ideologica, che ha l’obiettivo di rasserenare la pancia del Movimento Cinque Stelle con un “brodino caldo”. 

Purtroppo alla fine avrà un solo e drammatico effetto pratico: mettere a repentaglio il lavoro di tanta brava gente che fa il proprio dovere, paga le tasse e contribuisce a mandare avanti questa nazione, senza chiacchiere ma con i fatti. Tra l’altro, la Lega di Matteo Salvini, partito di governo, si è sempre detta contraria alla misura di blocco, ma su questa partita cruciale ha improvvisamente perso la parola. 

E forse anche la parte del decreto Semplificazioni sul passaggio delle concessioni delle grandi centrali idroelettriche alle regioni del nord senza che queste spendano un euro è un elemento cruciale dell’approvazione del provvedimento. Pensare male si fa peccato ma spesso ci si prende sosteneva Giulio Andreotti.