Pubblicato su Stratmagazime.it il 13 luglio 2019

l post di Filippo Onoranti, blogger di Start Magazine

Perché Dante Alighieri? Chiedo incontrando nella piazza della mia città, il ravennate Gianni Bessi consigliere dell’Emilia-Romagna che ha promosso l’adesione della nostra regione alla proposta del Dantedì nazionale del Corriere della Sera. “Perché – risponde Bessi – servono colonne su cui ricostruire le fondamenta di una ‘religione civile’ di questo paese. Ormai minato da divisioni e guerriglie quotidiane che hanno portato alla sua completa paralisi”.

Persino il popolo che ha eletto Donald Trump come proprio presidente ha qualcosa da insegnare sull’argomento – e questo mi riempie di speranza – che i diretti eredi di Dante abbiano bisogno di questa lezione è invece fonte di un certo sconforto. Nondimeno d’oltre oceano vengono significative prove dell’impatto di una religione civile.

Dopo un Risorgimento spazzato dal fascismo, abbiamo avuto la Resistenza (che ha oscurato il Risorgimento). Resistenza che ha incarnato i valori guida di una religione civile, promossa e auto promossa dai partiti popolari (DC e PCI e PSI primariamente) all’epoca maggioritari e quindi – metaforicamente – sacerdoti di tale portato culturale. La caduta della Prima Repubblica ha prodotto la scomparsa dei partiti popolari e la rottura di questo circolo.

Cosa resta di quel culto civile oggi? Una prima risposta può essere (ri)scoprire la Costituzione e, forse, anche la Presidenza della Repubblica. Simboli tanto potenti quanto fattualmente inefficaci. Lo dico, dopo anni di insegnamento alle superiori, desiderando una smentita che so non riceverò: tra i 15 e i 20 anni della Costituzione importa poco. È un argomento sepolto da una spessa coltre di disinteresse, l’ignoranza ne è la diretta ed inevitabile conseguenza. Non sono temi pop; al contrario è pop ostentare distanza nei confronti della sfera pubblica e politica. Domandarsi il perché può essere utile, ma la vera domanda è: come si cura questo male sociale che mina il senso dello Stato e l’identità culturale su cui esso si fonda?

In tutte le società, prima ancora che nelle religioni, esistono dei riti iniziatici; dei momenti investiti di un certo valore sacrale ed espressi da precise liturgie che sanciscono il passaggio tra l’infanzia e l’età adulta. Questi fanno di un giovane un cittadino, pongono i figli al livello dei padri. Oggi non esistono più e – come ricorda anche Umberto Galimberti – i giovani sono imprigionati in una eterna adolescenza. E ad un adolescente al quale è preclusa l’età adulta, cosa può mai importare dello Stato? Un rito di passaggio ancora formalmente presente ma esautorato del suo valore sacrale è l’esame di maturità. Se parte integrante di tale prova fosse dimostrare la propria conoscenza della Costituzione; se un giovane diventasse adulto mostrando ad una commissione di autorevoli figure di Stato che, oltre alle competenze tecniche ed alle conoscenze specifiche, è consapevole di cosa significa essere un cittadino, guardandoli da pari a pari in quei giorni d’estate che fanno parte dei ricordi di ciascuno di noi.

Senza fedeli non c’è religione, senza cittadini non c’è stato. E la cittadinanza non può ridursi a un mero status giuridico. Come ogni diritto infatti occorre che sia reso efficace da pratiche e da sentimenti. Cittadino è qualcosa che si deve sentire di essere prima di esserlo davvero. Cittadini occorre sentirsi per esserlo davvero. Allora Dante, che oltre alla Commedia è autore della Monarchia, padre della lingua italiana ed insieme della riflessione critica sulla divisione tra potere temporale e spirituale può essere un simbolo tanto per i laici quanto per i credenti; per i poeti e gli scienziati. È una delle peculiarità dei miti quella di superare le distinzioni, di creare unioni invece di confini. Dante non ha bandiere, è lui stesso una bandiera – sfumata di tricolore – che fa alzare in piedi senza distinzione di campanile.

Che ricordare Dante Alighieri diventi un’occasione di festa, un momento felice di aggregazione, il momento in cui riascoltare qualcosa di bello al di là del tempo, è un passo decisivo per chi desidera che la civiltà continui ad essere, indipendentemente dalle declinazioni particolari, un valore guida. I bruti vivono in tribù in perpetuo conflitto, speriamo che avesse ragione e che noi fatti non fummo…