Pubblicato su StartMagazine.it il 19 ottobre 2019

di Gianni Bessi

 

Greta, cambiamenti climatici, innovazione tecnologica. Conversazione tra Gianni Bessi, consigliere regionale Pd in Emilia-Romagna, e Filippo Onoranti, ricercatore in etica ambientale all’Università di Bologna, sulle domande della politica e le risposte della filosofia della scienza

Quando un filosofo incontra un politico, il politico può solo far domande e il filosofo può solo dar risposte! O almeno così è andata questa volta. Il mio ruolo politico di rappresentante dei cittadini di Ravenna nella regione Emilia Romagna, unito alla necessità di un punto di vista concreto ed anche praticabile in materia ambientale spesso mi hanno imposto di andare alla ricerca di fonti accreditate e di esperti nel settore. In questa occasione però ho sentito l’esigenza di chiedere di farmi da sparring partner a un filosofo della scienza con un dottorato alla Lateranense di Roma come Filippo Onoranti, ricercatore in etica ambientale all’Università di Bologna.

La prima domanda – quella che mi sono sentito porre innumerevoli volte in questi mesi – è: cosa ne pensi di Greta e del movimento FFF? Personalmente i giovani che manifestano, che studiano, che vogliono capire, che non si fidano dei grandi mi piacciono. E se c’è una domanda è: perché pensare sempre che ci sia dietro un oscuro regista quando qualcosa smuove le coscienze? Forse siamo invidiosi noi ‘diversamente’ giovani?

È sempre rischioso – mi risponde Filippo – giudicare qualcosa in pieno divenire, e azzardare pronostici sulla storia non è un approccio scientifico; per ora tuttavia pare che il messaggio ambientale non avesse trovato altri testimonial sufficientemente efficaci da sensibilizzare le masse.

Rilancia poi domandomi se conoscessi Boyan Slat? Il cui nome non mi suscita alcun ricordo. Il filosofo mi fa scoprire che è stato una delle grandi rimozioni mediatiche delle quali siamo tutti vittime, più o meno inconsapevoli. Un eroe moderno che non ha accettato di omologarsi vivendo come influencer né di ritirarsi in un eremo coltivando bio. Lui ha scelto di fare qualcosa di concreto per il mondo, ha scelto di tentare, e per questo è più comodo rimuoverlo, perché ci fa sentire tutti un po’ in colpa.

Nel suo breve momento di notorietà – continua Onoranti – nel 2013 dichiara a The Economist: “La tecnologia è l’agente di cambiamento più potente. È un amplificatore delle nostre possibilità umane. Mentre altri agenti di cambiamento si basano sul riorganizzare i mattoncini già esistenti della nostra società, l’innovazione tecnologica ne crea di interamente nuovi, dandoci costantemente nuovi strumenti per la risoluzione di problemi”. È chiaro che non sia troppo pop, come spesso capita alle riflessioni semplici e lineari; soprattutto a quelle che promuovono studio e lavoro.

Non posso allora trattenere una seconda domanda diretta: perché la tecnologia che bramiamo e dalla quale dipendiamo quando si tratta di comunicazione, di acquisti online e di comodità, ci piace così poco quando si rivolge all’ambiente?

Dapprima ricevo una risposta semiseria, e che punta sulla patriottica affezione all’antica arte di darci la zappa sui piedi e che noi abbiamo anche battezzato come tafazzismo. Ma il secondo round mi fa riflettere. Infatti l’ostilità – denuncia il filosofo – è alimentata primariamente dal timore di ciò che non si conosce; la tecnologia è un’applicazione della scienza, e la scienza piace poco, perché impone di passare dal piano emotivo dell’opinione, a quello della testimonianza e della prova. A noi piacciono di più le opinioni, perché ci illudono di essere liberi, ma è appunto una drammatica illusione (qui vi risparmio un puntuale riferimento al mito di caverna di Platone, utile tuttavia a capire che il problema è antico quanto la nostra civiltà). E prosegue: la scienza non piace né ai sostenitori di immaginifiche crescite zero, perché ricorda loro che sono implausibili – vallo a spiegare a tutte le popolazioni in via di sviluppo… Piace ancora meno ai negazionisti che si vedono facilmente smentiti, e allora gridano al complotto. Ma purtroppo piace poco anche alle folle, che si vedono espropriate di fantomatiche pozioni magiche; la scienza ci dice che ci sarà da fare, e molto e che dobbiamo cominciare adesso! E l’uomo è un animale abitudinario. Per questo i giovani, anche se sull’onda mutevole e talvolta dispersiva di uno slancio emotivo, sono una risorsa per l’umanità intera. Ci vorrà tanto studio e molti di loro imboccheranno vicoli ciechi, ma il messaggio sarà stato lanciato.

E sul piano dell’etica, c’è modo di contribuire criticamente al dibattito, senza scadere in facili slogan?

Il rischio della strumentalizzazione è altissimo! Il clima sociale è caldo almeno quanto quello metereologico; ma sottrarsi alle sfide in questo momento sarebbe irresponsabile! Una critica scientifica potrebbe riguardare uno degli slogan del movimento: non c’è un pianeta B. È ben scritto e efficace; il “pianeta B” riecheggia il concetto di “piano B”, e fa presa in noi molto prima che sia necessario prestarvi attenzione. Ma potrebbe essere una semplificazione. Il punto ad esempio potrebbe non essere salvare il mondo. Occorre essere piuttosto precisi, e questo è uno dei limiti della scienza: talvolta la realtà non si fa addomesticare dalle semplificazioni, che sono invece uno dei massimi valori nella comunicazione. Non tutto è semplice come ci piacerebbe.

E com’è allora secondo te?

Il mondo ad esempio oggi sta benissimo; non è il pianeta ad essere in pericolo, ma la vita umana sul pianeta. Però: “salviamo l’umanità” suona peggio che “salviamo il pianeta”. È meno epico, e a noi umani l’epica serve per vincere la tendenza a conservare le nostre abitudini, specialmente quando sono comode. E se per salvare davvero il pianeta servisse salvare l’umanità? Ad esempio il mondo che oggi è in gran forma, è condannato a morte certa tra “appena” 4 o 5 miliardi di anni. Trascorso questo tempo il sole lo abbrustolirà e di nulla di quanto accaduto in questo angolino di Via Lattea avrà mai lasciato traccia. Se ricordiamo questo – il più certo di tutti i dati scientifici a noi noti al momento – la sopravvivenza dell’umanità è la cosa migliore che possa accadere alla Terra. O meglio, alla vita. Non si tratta infatti di salvare il pianeta, ma la vita sul pianeta, cosa che al momento, appare un evento unico nella vastità del cosmo e che se anche non lo fosse, non sarebbe meno prezioso.

Questa sembra più la trama di un romanzo di fantascienza, e un politico come me, coinvolto necessariamente in urgenze quotidiane, deve sforzarsi non poco per prendere sul serio una prospettiva così lontana. Ma in effetti anche della luna hanno parlato prima i poeti degli ingegneri, ma alla fine ci siamo andati e forse ci torneremo tra poco. Se c’è una speranza è la tecnologia, sia quella che ci consentirà di usare in maniera più efficiente l’energia che abbiamo a disposizione; ma anche un’altra tecné ci occorre: la politica, unico modo per rendere il mondo una casa comune, un posto dove stare insieme e non un campo di battaglia. Non sarà veloce, ma come ricorda Vico “il mondo è ancora giovane”.