Pubblicato su Startmagazine.it il 6 aprile 2020

di Gianni Bessi

Eni, gas e dintorni. La scelta di puntare sul gas naturale per la ripresa è un esempio perfetto di come la tutela degli interessi strategici dovrebbe includere anche la protezione e la valorizzazione delle risorse e delle materie prime nazionali. L’analisi di Gianni Bessi

L’analisi di Gianni Bessi, autore di “House of zar. Geopolitica ed energia al tempo di Putin, Erdogan e Trump” (goWare)

Quando si affronta un dramma, come quello che stiamo vivendo oggi, ogni scelta, ogni decisione hanno un peso superiore a quelle dei tempi tranquilli, ammesso ne esistano. Sono complicate e insidiose quelle che gli esperti della sanità stanno compiendo per contenere l’epidemia, ma lo sono o lo saranno anche quelle che la politica dovrà compiere prima o poi – speriamo che accada prima… – per mettere mano alla crisi economica che il Covid-19 ci lascerà in eredità.

La discussione, sia a livello nazionale sia europeo, riguarda quanto ‘straordinarie’ dovranno essere le misure per salvare i settori produttivi messi in ginocchio. Invece ritengo che almeno nel nostro paese si dovrebbero riprendere in mano quelle misure ordinarie su cui ci si stava confrontando prima della diffusione mondiale dei contagi ma che erano state riposte nei cassetti, soprattutto per mancanza di un accordo fra le forze che avrebbero dovuto sostenerle.

Un esempio è l’estensione dello strumento del Golden Power – contenuta nel Decreto legge del 15 marzo 2012 – dai settori della difesa, della sicurezza, dell’energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni, a una platea più ampia. Il Golden power prevede un esercizio dei poteri speciali che coinvolge le società che svolgono attività di rilevanza strategica e non soltanto quelle privatizzate: andrebbe applicato quindi a una platea più ampia di imprese, da quelle aerospaziali fino alle agroalimentari (per capirci, si sta pensando di allargarlo anche a un colosso come Barilla per esempio). E vista la circostanza eccezionale, per quanto mi riguarda, propongo di aggiungere alle proposte di allargamento dello scudo statale anche la valorizzazione delle risorse nazionali: a cominciare dal gas naturale, che ora più che mai può essere sicuramente definito strategico.

Il tema della politica energetica, che era già delicato prima dell’emergenza sanitaria, ora è diventato un’urgenza per un Paese, qual è il nostro, che non ha saputo prendere una posizione chiara sul ruolo del gas naturale e sul modello di approvvigionamento. Intanto la moratoria prevista dal DL semplificazione del febbraio 2019 ha congelato e sterilizzato la produzione di gas italiano, che come hanno certificato i ‘cacciatori di pietre’ del Green data Center di Eni, potrebbe essere estratto in gran quantità dal giacimento presente nel mare Adriatico. Lo testimonia il fatto che le nazioni confinanti dal Montenegro alla Grecia hanno avviato in serie gare di esplorazione e produzione per sfruttare questa risorsa.

L’urgenza è rafforzata dal fatto che è stata intensificata l’attenzione, come evidenzia la Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza 2019, sulla protezione delle nostre infrastrutture di approvvigionamento di fonti energetiche, per garantire la continuità dei flussi al nostro Paese che, come è noto, importa dall’estero la stragrande maggioranza delle risorse.

Quindi diventa ancora più urgente definire nel ‘dopo Covid-19’ in modo chiaro e univoco se il nostro Paese intende puntare o meno sul gas naturale Made in Italy, tenendo conto che nel 2018 ha consumato 70 miliardi di metri cubi di oro azzurro, importandone oltre il 90% dall’estero. Sul piatto c’è una questione annosa, che ho sottolineato più volte ma che è più che mai attuale: cosa intendiamo fare delle nostre risorse nazionali, a km zero, che entrano ancora nella nostra rete metanifera, una delle più estese d’Europa e del mondo.

Senza contare che lo stallo attuale provocato dalla moratoria sta mettendo in ginocchio il settore energetico italiano e, soprattutto, la filiera della manifattura industriale a esso collegata, a cominciare anche da quella chimica. Un esempio per tutti: le attività di upstream di Eni, cioè quelle a monte della commercializzazione delle risorse energetiche, in Italia danno lavoro a circa 5mila persone sugli oltre 20 mila dipendenti del cane a sei zampe. Senza contare l’indotto della manifattura e dei servizi accessori. La produzione di idrocarburi Eni in Italia è dati bilancio 2018 il 7% della produzione totale dell’azienda, grazie alle aree di produzione dell’Adriatico, della Basilicata e della Sicilia. In questo contesto è utile sottolineare che nel ‘panel’ dei 50 Paesi in cui Eni estrae gli oltre 1800 kboe/day di Oil&gas solo Egitto e Libia, con il 16%, e Angola e Kazakistan, con l’8%, hanno una produzione superiore a quella del nostro Paese.

Questo a conferma che siamo un Paese produttore di idrocarburi, in particolare di gas naturale. O almeno lo siamo per Eni di cui lo Stato tramite il Mef e Cdp ha circa il 30% di azioni. Un altro dato indiscutibile è che la divisione exploration & production è quella che massimizza la redditività di Eni e che garantisce centinaia di milioni alle casse dello Stato. Va ricordato, visto che il governo dovrà decidere chi designare nel rinnovato cda dell’azienda. Insomma, bloccare l’upstream italiano significa rinunciare a una produzione che contribuisce con il 7% al fatturato Eni, con un conseguente effetto negativo anche sull’occupazione.

Questo scenario energetico, ora contraddittorio, sul ruolo del gas naturale deve essere chiarito e va definita una linea di azione sulla valorizzazione delle risorse naturali Made in Italy: il gas è un elemento irrinunciabile del mix per la transizione energetica. Per esempio perché non approvare per la fase di ripresa una pianificazione razionale e a scadenza, diciamo per i prossimi 10 anni, per l’estrazione per esempio del gas naturale in Adriatico? Ciò sarebbe un’opportunità di crescita per il sistema industriale italiano, garantirebbe approvvigionamenti a costi più bassi così come royalty per lo Stato e gli Enti locali territoriali e risparmi per una minore importazione dall’estero. L’alternativa è restare nell’ambiguità e raggiungere il 100 per cento di gas importato per il nostro altissimo fabbisogno annuo. La scelta di puntare sul gas naturale nel quadro della ripresa economica è un esempio perfetto di come la tutela degli interessi strategici dovrebbe includere anche la protezione e la valorizzazione delle risorse e delle materie prime nazionali.