Pubblicato su il Messaggero il 12 maggio 2022

di Andrea Bassi e Gianni Bessi

IL CASO

ROMA L’embargo sul petrolio che annaspa. Quello sul gas nemmeno alle viste. Il nodo del pagamento in rubli non ancora sciolto. Sulle sanzioni l’Europa segna il passo. Così sulla scena della guerra energetica tra Europa e Russia sta emergendo un nuovo protagonista: l’Ucraina. Da diverse settimane una delle domande che aveva sollevato l’invasione di Mosca, legata al possibile utilizzo del gas come arma politica, era se i rubinetti sarebbero stati chiusi prima da Putin o dall’Ue. È successo invece che a bloccare il flusso di forniture è stata direttamente Kiev. Per ora quasi senza conseguenze. Ieri in Italia sono arrivati 245 milioni di metri cubi di gas. Un po’ meno dal Tarvisio, dove approda il gasdotto Tag che passa dall’Ucraina, un po’ più da Passo Gries dove arriva Nord Stream. Difficile dire però, se sia dipeso dalla decisione di Kiev. Anche perché l’Italia, come si dice in gergo, in questo periodo è “lunga” di gas. Ne arriva più di quanto ne serva. Ieri la domanda prevista era di 145 milioni di metri cubi. I 100 milioni in più avanzati sono stati pompati negli stoccaggi. Ma allora come leggere la decisione ucraina di bloccare un terzo del gas russo verso l’Europa? Una delle possibili chiavi di lettura è che Kiev forse con il gas vuole forzare la mano all’Ue, dichiarando in modo chiaro la propria scontentezza nei confronti della sua tattica in merito alle nuove e più pesanti sanzioni alla Russia enunciate ma che vedono un fronte diviso. Sta quindi usando la stessa tattica di Putin? Vediamo cosa è successo nelle ultime 48 ore. Naftogaz, la compagnia ucraina che gestisce i gasdotti d’interconnessione tra la Russia e l’Europa, ha inviato a Gazprom una lettera in cui spiega che la decisioni di interrompere i flussi è dovuta a «cause di forza maggiore». Una motivazione che appare volutamente vaga, che non spiega il motivo per cui questi problemi siano emersi proprio adesso. In ogni caso, «L’Ucraina non è più responsabile del trasporto del gas russo attraverso i territori ucraini sotto occupazione militare russa, cioè il valico di Sokhranivka e la stazione di compressione Novopskov», come riporta l’Ansa. Per capire il peso di questo stop, basta sapere che si tratta di un terzo del volume totale di gas che viene trasportato verso l’Europa.

LA MOSSA
L’operatore ucraino ha comunque comunicato sul proprio sito che il gas potrà comunque essere diretto su un secondo punto di entrata, a Sudzha, in modo che i contratti europei possano essere soddisfatti. Intanto, i prezzo del future di gas al mercato Ttf di Amsterdam pare confermare le dichiarazioni di Snam, che ha subito fatto sapere che non ci sono state riduzioni di fornitura: fino ad agosto si prevede resti stabile a 96 euro al mWh, dopo che era salito sopra i 100 euro appena si era saputo della chiusura dei collegamenti. Ora il punto cruciale è se l’Ucraina userà davvero la possibilità di bloccare il trasporto del gas attraverso il proprio territorio come uno “strumento di persuasione” nei confronti dell’Ue, che si trova in una situazione di stallo per il veto dell’Ungheria all’approvazione di un embargo totale del petrolio russo. È sempre più la “politica del gas”, che anche in tempi di pace vedeva protagonisti gli stati produttori: il braccio di ferro fra Usa e Russia per aggiudicarsi le forniture all’Europa ora può essere letta come una premonizione di quanto sarebbe successo. Ovviamente chi è maggiormente sotto pressione in questa situazione è l’Europa, stretta fra la necessità di rispondere alla minaccia russa con sanzioni sempre più dure ed efficaci e l’esigenza di avere il gas di Gazprom per fare funzionare l’economia. La mossa dell’Ucraina è destinata a sparigliare le carte: darà una svolta se non al conflitto, almeno all’atteggiamento dell’Ue? Siamo a una mossa da cow boy di Zelensky: «O da una parte o dall’altra», con la chiusura della pipeline. E il cerino accesso, che lo porga Putin o Zelensky, resta in mano all’Unione europea.

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