Pubblicato su il messaggero.it il 2 giugno 2022

di Gianni Bessi

Non c’è pace per le tasche dei consumatori, che invece speravano fosse passata la tempesta dell’aumento del prezzo della benzina, dopo la decisione del governo di tagliare le accise per riportalo a livelli accettabili. Ma il provvedimento per controbattere l’impennata dei prezzi alle pompe dopo l’invasione russa dell’Ucraina ha avuto un effetto passeggero. E adesso è la rincorsa a individuare la causa del fenomeno e i possibili colpevoli, fra i soliti noti – Putin ovviamente – e quelli più nascosti.

Come spesso succede, i fatti complessi non hanno una causa sola e il prezzo della benzina da questo punto di vista è esemplare. Cominciamo dal fatto che quella del petrolio è una filiera articolata – che immette sul mercato prodotti altamente specializzati, che richiedono specifici tipi di petrolio, quali benzina appunto, gasolio, kerosene, jet fuel, virgin nafta, lubrificanti, olio combustibile ecc – e che prevede molti passaggi, e che quando finisce in stress – come è il caso attuale – subisce un aumento dei costi di produzione, i quali debbono essere scaricati da qualche parte: in genere, ed è questo il nostro caso, sul consumatore finale.

Un altro elemento che incide sul rincaro della benzina più che la dipendenza del prezzo del petrolio dal congegno della domanda e dell’offerta è quella dai mercati finanziari. Come ci ricorda il libro di Salvatore Carollo ‘C’era una volta il prezzo del petrolio’, il meccanismo con cui si decide il prezzo del greggio nel mondo dipende solo in piccola parte dall’equilibrio di domanda e offerta, ma dalle dinamiche finanziarie e speculative che regolano gli affari delle principali borse internazionali di New York e Londra, che muovono miliardi di dollari nei cosiddetti ‘barrel papers’. E, nel caso del nostro paese, conta anche la diminuita capacità nel corso del tempo, di oltre il 60%, di trasformare il petrolio e di esportare i prodotti della raffinazione.

Ma non è tutto: stiamo facendo i conti con un fenomeno che in Europa pensavamo di avere archiviato, o almeno di poterlo tenere sotto controllo, quale l’inflazione. In Italia siamo tornati a numeri da pre-euro, con una previsione su base annua del 6.5%. E con i prezzi dell’energia così volatili non sarebbe una sorpresa se a dicembre ci trovassimo con un aumento dei prezzi anche dell’8 per cento. La Germania, che dal punto di vista delle finanze pubbliche ha fama di non lasciare spazio a possibili spinte inflattive, il poco invidiabile traguardo dell’8 per cento lo ha già raggiunto. E ci ha seguiti sulla strada di un taglio delle tasse sulla benzina, per tamponare una situazione che si è fatta pesante, che è arrivata fino a quasi 2,5 euro al litro. Inoltre ha approvato anche un biglietto di 9 euro che permette in giugno e in luglio di viaggiare sui treni quanto si desidera.

Un aiuto a calmierare i prezzi era stato chiesto ai paesi produttori dell’Opec, sotto forma di un aumento più consistente della produzione rispetto a quello previsto. Il 2 giugno è stata indetta la riunione dei membri dell’Opec plus, il gruppo allargato dei petrostati di cui fa parte anche la Russia, per decidere la quota di produzione di barili da immettere sul mercato: è scontato che la produzione si manterrà sulle quote previste dai contratti attuali.

Proprio pochi mesi fa avevo ipotizzato che, nel momento in cui l’Europa si attrezzava per potere fare a meno, nei tempi adeguati, delle forniture russe, soprattutto perché la produzione mondiale è comunque calata negli ultimi anni causa i drastici tagli di investimenti alla produzione, l’esito scontato è una riduzione della capacità produttiva inutilizzata – la quale altro non è che lo scarto fra produzione e consumi – e quindi una maggiore difficoltà a reperire  petrolio e gas e incidere sulla filiera della raffinazione. Questa situazione sta già causando già causando reazioni in molti settori economici: uno per tutti, quello della pesca, con i pescherecci dell’Adriatico che rimangono dei porti perché il prezzo del fuel è troppo alto. Sono molti i paesi, oltre a Italia e Germania, che stanno studiando misure ad hoc per prevenire manifestazioni e tensioni sociali: non dimentichiamoci che il fenomeno dei gilet gialli in Francia nacque proprio per la decisione del governo di aumentare il costo del carburante.

L’aumento dei prezzi è figlio di tutte queste – e altre – dinamiche e servirà ai governi una grande lucidità, unita a una velocità di decisione, perché gli effetti sull’economia non diventino insostenibili.

 

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