Pubblicato su formiche.it l’11 ottobre 2021

di Gianni Bessi- Verde e blu

Cosa può accadere a Glasgow o, meglio, cosa possiamo augurarci che accada? Che ci sia un’accelerazione di un processo essenziale, cioè un’alleanza stretta fra politica ed economia che permetta di mettere in campo le azioni necessarie a contrastare il cambiamento climatico

Quando penso a Greta e al suo impegno per l’ambiente, che non è isolato ma è quello di tante ragazze e ragazzi come lei, e alle reazioni degli ‘adulti’ mi viene sempre in mente la favola ‘I vestiti nuovi dell’imperatore’, che finisce con la cruda e sincera osservazione del bambino quando grida ‘Il re è nudo’. A essere nudi in questa che non è una favola ma purtroppo la dura realtà sono i grandi della terra e i loro vestiti nuovi sono i proclami e le azioni per contrastare il cambiamento climatico.

Come rispondere a una generazione che teme di vedersi strappare il futuro? L’unico modo è cominciare subito a fare qualcosa e iniziare la transizione energetica che ci porti in un domani che dev’essere il più vicino possibile a utilizzare solo fonti pulite. Che è l’impegno giustamente preso da Mario Draghi.

Le dichiarazioni di Mario Draghi svelano anche l’altra faccia della medaglia: come la classe dirigente, i media e la politica stanno gestendo il movimento F4Future. Perché va bene cogliere e sostenere la voglia dei giovani di essere protagonisti – finalmente qualcosa su cui combattere dopo anni in cui sono mancati motivi ‘coinvolgenti’ per l’impegno politico – ma una classe dirigente ha il compito di spiegare che governare e gestire un percorso di transizione è cosa diversa dal rilanciare ogni volta verso obiettivi sempre più ambiziosi e, verrebbe da chiosare, per questo irraggiungibili. Quello del cambiamento climatico è un problema ‘complesso’ perché multidimensionale, multifattoriale e multilaterale. E per questi motivi non si può risolvere con uno schioccare di dita, con formule astratte o soluzioni miracolose.

La prossima occasione per fare un passo avanti è al Cop 26 di Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre. La città ha un grande valore simbolico come sede per parlare di ambiente: è quarta al mondo nel Global destination sustainability index e allo stesso tempo è la prima economia della Scozia, che nella sua est coast, precisamente nel bacino orientale delle isole Shetland, continua a estrarre il Brent che è una delle incarnazioni del ‘Re petrolio’. Continuando quindi a essere un punto di riferimento per il prezzo della fonte fossile per eccellenza.

Cosa può accadere a Glasgow o, meglio, cosa possiamo augurarci che accada? Che ci sia un’accelerazione di un processo essenziale, cioè un’alleanza stretta fra politica ed economia che permetta di mettere in campo le azioni necessarie a contrastare il cambiamento climatico. Perché un punto è chiaro: da soli, Stati o imprese non possono andare da nessuna parte. Questo vale anche per le grandi nazioni come Usa o Cina e, logicamente, anche per l’Europa. L’alleanza sarebbe il primo passo necessario a cominciare un cammino che altrimenti si prospetta lungo e accidentato, pieno di ostacoli – le resistenze di chi minimizza l’impatto del climate change e non intende smuoversi dallo sfruttamento del Re petrolio – ma anche di opportunità. Un re che, va ricordato, garantisce una quota importante di materia prima grazie ai suoi 100 milioni di barili al giorno e per questo non si mette in soffitta con uno slogan. Ma con delle soluzioni praticabili.

Tra queste vale la pena segnalare il ritorno delle exhibition e delle conference fra operatori, da Aberdeen a Londra fino a Ravenna che con l’Offshore mediterranean conference ha riunito, a fine settembre, i protagonisti del settore per parlare di questioni operative. Quest’anno l’Omc fin dal titolo ha dichiarato qual è il futuro degli incontri al vertice del settore energetico: “Ripensare energia insieme, alleanze per un futuro energetico sostenibile”.

Il cammino è iniziato, quindi, e si discute ovunque di progetti nel campo dell’eolico o del solare a mare, da realizzare con le tecnologie più diverse, a cominciare da quelle che prevedono impianti galleggianti al largo delle coste. In questa direzione mi permetto di segnalare che non basta trovare risorse ‘alternative’ agli idrocarburi ma pensare in modo olistico alla produzione di beni e servizi. Un esempio di politica industriale integrata presentato proprio all’Omc, lo “Schema Industriale Zero Waste”, che è stato sviluppato da Assorisorse coinvolgendo nella progettualità aziende come Eni, Hera spa, Saipem, Maire Tecnimont, Sibelco Italia, Rosetti Marino e altre con differenti specializzazioni.

Ecco come l’obiettivo di integrare diverse tecnologie per trattare i rifiuti, con riciclo del vetro, digestione anaerobica della frazione organica, riciclo plastiche e conversione frazione secca a etanolo ed idrogeno valorizzando le componenti recuperabili e convertendo le frazioni non recuperabili in biometano, idrogeno e chemical diventa un modo diverso di pensare alla produzione dei beni.

Nello stesso tempo il mondo delle fonti fossili, ovviamente, non sta fermo. Le recenti impennate dei prezzi del petrolio e soprattutto del gas naturale indicano non solo giochi di prezzi di un ciclo rialzista degli idrocarburi o di paure scatenate dalla scarsa capacità inutilizzata del ciclo produttivo, ma anche veri e propri ricatti di alcuni GasStati verso il ‘mercato’, soprattutto quello europeo. Le dinamiche del prezzo del gas naturale come materia prima, come avevo scritto in “Gas naturale. L’energia di domani”, sono sempre più simili a quelle del petrolio, con oscillazioni dei cicli rialzista o ribassista. Non importa più dove viene prodotto visto le evoluzioni in termini di ‘portabilità’ tra gasdotti o Gnl: si comporta come qualsiasi altra commodity, subendo variazioni di prezzo dopo decenni da un sistema ‘controllato’.

Viene da chiedersi allora cosa sarebbe successo in Italia senza i 5 miliardi di mc del gasdotto Tap: da questo punto di vista il possibile allargamento delle forniture a 12 mld sarebbe quantomeno auspicabile in tempi rapidi. E sul tema interconnessioni, che non vale solo per l’Italia ma riguarda tutta l’Europa, il Tap ha creato una condizione favorevole visto che il differenziale tra Psv e Ttf si è ridotto a zero nonostante il costo logistico. Il tema dunque non è aumentare l’interconnessione delle reti – a meno che non la si guardi in ottica di flussi aggiuntivi che arriveranno dalla pipeline tanto contesa Nord Stream 2 – anche se avere più interconnessioni è comunque un dato positivo. Oggi il tema è diversificare le fonti e aumentare le capacità di stoccaggio.

Su questo punto riprendo una mia proposta, cioè la ripresa della produzione nazionale sfruttando i giacimenti dell’Adriatico (per non parlare dell’alto Adriatico). Già sarebbe un passo avanti rimuovere lo stallo prodotto dai governi Conte I e II, che hanno prodotto un piano, il Pitesai, che da tre anni viene richiamato ma che non è mai stato davvero attuato e che ha comportato uno stop della ricerca e produzione in Adriatico congelando almeno 2 miliardi di mc anno. Se a qualcuno 2 miliardi di metri cubi paiono pochi, consiglio di passare dalle casse dello stato per verificare quant’è la nostra bolletta energetica oggi.

Possono sembrare temi ‘diversi’ o ‘alternativi’. In realtà tutto si tiene nel cammino (purtroppo lungo) verso la decarbonizzazione. Occorre trovare equilibri e modelli che appunto tengano insieme una sostenibilità ambientale, economica e sociale.

In conclusione, cerco di riassumere cosa serve perché il nostro Paese possa partecipare all’impegno verso un’economia sostenibile che contrasti i pericoli del cambiamento climatico e proceda verso l’obiettivo della decarbonizzazione.

Intanto non basta solo finanziare le soluzioni tecnologiche o redigere un quadro legislativo adeguato, ma servono anche politiche di sistema che determinino la fattibilità e la sostenibilità ambientale sociale ed economica della produzione e dell’utilizzo industriale dell’idrogeno verde o di qualsiasi altra modalità per abbattere CO2. Viste le ingenti risorse europee destinate a sviluppare tecnologie per produrre il ‘vettore idrogeno’, bisogna agire sul divario tra il costo dell’idrogeno rinnovabile e l’idrogeno fossile perché se è troppo alto si fa fatica trovare investitori privati.

Che sono indispensabili, perché se l’investimento è ‘coperto’ esclusivamente da risorse pubbliche il rischio è che i progetti diventino per sempre ‘dipendenti’ dalla salute delle casse dello stato. Invalidando la loro sostenibilità. Vanno quindi sciolti tre nodi essenziali: il principio di addizionalità e contemporaneità della direttiva RED II, perché il rischio è di restare fermi, il ripensamento o l’eliminazione degli oneri di sistema della catena produttiva dell’idrogeno, per ottimizzare la produzione, e la definizione della cumulabilità degli incentivi per arrivare a un’esenzione degli oneri di sistema. Per questo diventa importante il lavoro del Governo Draghi su come utilizzeremo la dote del Pnnr.