Pubblicato su Formiche.net il 7 giugno 2015

di Gianni Bessi


In periodo di Expo 2015
 Milano, visto il tema “nutrire il pianeta: energia per la vita”, Il Venerdì di Repubblica apre la copertina con “Guarire mangiando (poco)” dialogo con Valter Longo l’italiano diventato un’autorità negli studi su cibo ed invecchiamento. È una rivoluzione?

Vorrei cominciare questo intervento assieme e grazie al contributo delle riflessioni e agli insegnamenti di Filippo Onoranti, giovane e brillante dottorando e allievo del professor Gianfranco Basti della Lateranense di Roma.
Partiamo con una constatazione: non esistono rivoluzioni fallite. Nella storia, economica, politica, sociale e culturale ogni tentativo reazionario è stato sconfitto. In particolare questo vale per le rivoluzioni scientifiche.

Prendiamo due esempi:

– il copernicanesimo, passando attraverso le intuizioni di Galileo e Newton, ha contribuito a determinare la prima “globalizzazione” con la scoperta dell’America ed ha gettato le basi di quello che di lì a pochi anni sarebbe diventato il movimento culturale dell’Illuminismo;

– la rivoluzione della fisica del Novecento (Albert Einstein, la quantistica, eccetera) ha prodotto l’energia nucleare ed ha reso oltre che reale, anche disponibile ed accessibile, l’informatica che oggigiorno costituisce un elemento fondamentale del nostro mondo postmoderno.

Nulla hanno potuto contro questi “movimenti” forze “conservatrici” culturali, politiche, religiose: in alcuni casi gli stessi padri di alcune di queste “rivoluzioni” hanno talvolta tentato infruttuose retromarce, e tutti alla fine, per sopravvivere, hanno dovuto scendere a patti con la “rivoluzione scientifica” e con i suoi effetti “sociali”.
L’ambito che ci preme maggiormente esaminare qui è quello che potremmo definire culturale. E ben sappiamo come l’affermazione di una cultura sia ricca di ripercussioni nella quotidianità della società.

Oggi, e intendiamo proprio in questi giorni di Expo, con la delicata prepotenza con cui questi eventi epocali si annunciano, collezioniamo sempre nuove evidenze di una incombente rivoluzione: quella biologica.
Ma è da tempo che questa rivoluzione sta percorrendo un cammino. Pochi anni fa il Nobel per la medicina furono assegnati per studi di medicina rigenerativa (Gurdon e Yamanaka) rendendo sempre più reali terapie che fino a pochi anni fa avrebbero trovato posto solamente in qualche romanzo fantascientifico. Pier Giuseppe Pelicci dell’Istituto europeo dei tumori dichiara – su Repubblica – che grazie ai due scienziati sarà dato il via nel 2013 alle sperimentazioni sui pazienti: il primo test sarà sulla cecità.

Va notato che anche di fronte a questo scenario di test genetici, di mappe genomiche o di altri fattori biochimici, ci sono resistenze. I poteri indubbiamente forti delle multinazionali farmaceutiche, al di là di banali complottismi, sono fortemente ostili a questo tipo di possibilità: dal punto di vista economico infatti conviene un malato cronico e farmacodipendente, non certo un individuo sano. Ma a questa evidenza se ne aggiunge un’altra: i sistemi sociosanitari mondiali sono in crisi, l’incremento della vita media rende sempre maggiore il numero di persone di cui occuparsi, facendo così lievitare costi già elevati.

L’interdipendenza delle strutture sociali del mondo occidentale renderanno e stanno in realtà già rendendo evidenti molti effetti critici di una incapacità di sopperire ai bisogni della popolazione. Una prospettiva interessante (parlare di soluzioni sarebbe certamente pretenzioso) potrebbe giungere dall’integrazione tra l’aspetto più eminentemente sanitario della vita sociale ed un aspetto fondamentale della vita tout court: l’alimentazione. Anche grazie all’imminente rivoluzione biologica la prospettiva con cui ci avviciniamo al cibo cambierà; in un contesto di sanità oberata la prevenzione, quella vera, diventerà parte integrante dei progetti sanitari dei paesi industrializzati, e si apriranno scenari di vere e proprie profilassi alimentari.

Non possiamo sapere con precisione quando, ma è certo che presto il cibo sarà considerato il farmaco di domani (e nulla vi è di nuovo, infatti almeno fino al medioevo, ma in realtà ancora nel secolo scorso negli ambienti rurali, il rapporto tra cibo e salute era avvertito come indissolubile).
La nostra società, la politica, l’economia, l’industria agroalimentare per i prossimi anni – tutti gli interventi all’Expo concordano – dovranno fronteggiare una sfida enorme che deve coniugare da una parte le problematiche delle “scarsità” delle risorse fisiche e l’incapacità di sopperire ai bisogni della popolazione sia in termini sanitari che alimentari e dall’altra le opportunità offerte dalla “rivoluzione biologica” .

Questo abstract vuole essere semplicemente uno stimolo al dibattito, si può tracciare una provvisoria conclusione, una specie di morale della favola. “Non esistono rivoluzioni fallite. Nella storia economica, politica, sociale e culturale ogni tentativo reazionario è stato sconfitto”. La sfida della “scarsità delle risorse” e della “rivoluzione biologica” fanno esplicitamente riferimento alle nuove domande di prestazioni politiche. In sostanza la “politica”, sembra ad un bivio: accettare adattivamente un destino d’irrilevanza oppure raccogliere le sfide dei nuovi contesti sociali ed economici al fine di offrire un “valore aggiunto” alle chance di sviluppo economico e sociale.

E parafrasando Einstein la scienza senza la “politica” è zoppa. La “politica” senza la scienza è cieca.