di Gianni Bessi

Pubblicato su Corriere Imprese del 16 maggio 2016

 

Tra quanti hanno commentato il risultato del referendum sulle perforazioni, in pochi hanno messo in evidenza quello che è stato l’esito più positivo: riportare in primo piano l’esigenza di confrontarsi su ‘cosa fare adesso’ in materia di programmazione energetica. In sostanza, la consultazione non ha esaurito i temi che la riguardavano, ma li ha precisati, ci ha permesso di chiarirci le idee. Ora, insomma, è evidente a tutti che ci si debba sforzare di superare le contrapposizioni ideologiche, che non hanno prodotto nulla se non un indebolimento del dialogo sulla politica energetica in Italia. Ed è ora di cominciare ad ‘ascoltarsi’ invece di lanciare proclami. Evitando di nascondersi dietro a schieramenti predefiniti, frutto di semplificazioni ideologiche e, per questo motivo, falsi.

Io, per esempio, sono stato iscritto d’imperio nella lista degli amici dei ‘petrolieri’. Eppure in un recente passato, nel mio ruolo di vicepresidente della Provincia di Ravenna, ho seguito in prima persona il progetto europeo Powered, di cui l’ente era fra i partner. Il progetto si è occupato di mappare la forza del vento in tutto l’Adriatico, dalla Puglia al Veneto e dall’Albania alla Croazia, per capire dove esistano le condizioni meteorologiche per realizzare campi eolici offshore e, soprattutto, dove è remunerativo investire. Il comitato scientifico del progetto era composto da ‘esperti del vento’: sono stati ottenuti risultati di grandissima rilevanza che il Governo potrà utilizzare per decidere a chi concedere l’autorizzazione a costruire una centrale eolica in mare aperto.

Abbiamo capito che non si agisce sui problemi dividendo il mondo fra buoni e cattivi e contrapponendosi per idee preconcette: serve invece confrontarsi per mettere in piedi processi ragionevoli di transizione. Tutti vogliamo arrivare all’utilizzo delle energie pulite: dobbiamo capire qual è il progetto migliore, quello che lascia meno vittime dietro di sé. Una scelta che il Governo potrebbe fare per dare impulso a questo processo, come ha suggerito Romano Prodi, sarebbe quella di reinvestire le risorse provenienti dallo sfruttamento dei giacimenti ancora produttivi di gas e di quelli nuovi oltre le 12 miglia per sostenere la ricerca. In altri Paesi si fa già così. Per esempio in Norvegia che ha costituito un fondo di investimento di 200 milioni di dollari che nei prossimi sette anni sosterrà l’attività di ricerca e sviluppo delle energie rinnovabili. Un fondo finanziato appunto con i proventi della Statoil, cioè la società norvegese di estrazione del greggio della quale il governo detiene il 67 per cento delle azioni. E non è tutto: la Statoil realizzerà ‘Batwind’, un’innovativa batteria al litio per l’accumulo di energia da fonti rinnovabili – della capacità di 30  megawatt, circa come 2 milioni di iphone – che verrà installata nel campo eolico galleggiante dell’Hywind pilot park, al largo di Peterhead in Scozia.

Questa è la strada: costruire un percorso che punti a un mix energetico fra rinnovabili e fossili a basso impatto (come il gas), finché non saremo in grado di fare funzionare il nostro mondo solo con l’eolico o il solare. E chi lo sa se ci riusciremo. Per fare questo dobbiamo investire in ricerca, innovazione, formazione ed istruzione, permettendo di formare una nuova generazione di forza lavoro capace di affrontare la sfida che ci attende, l’innovazione del sistema energetico nazionale. Difendendo e rilanciando nello stesso momento la cultura e la reputazione industriale made in Italy.

 

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