Una tesi per un congresso a tesi

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Una premessa necessaria
Il giuramento del governo di Giorgia Meloni, dopo l’elezione dei Presidenti di Camera e Senato, conclude e completa il percorso avviato con le elezioni anticipate del 25 settembre.
Non è naturalmente in discussione il diritto di chi ha vinto le elezioni di presiedere le Camere, e definire le personalità di governo.
Come è diritto per chi non si riconosce nel programma del nuovo governo di esercitare il diritto di critica: per esempio l’accreditamento di Giorgia Meloni e dei suoi alleati nei confronti di ambienti nazionali, europei e internazionali che prima contrastavano.
E quindi nasce la curiosità di vedere come riusciranno a essere coerenti con i propositi di rottura con il passato e con le politiche di Draghi, per esempio quelle del PNRR. E quale sarà il comportamento istituzionale della seconda e terza carica dello Stato e dei ministri, visto il profilo politico e le idee che hanno sempre rivendicato. In ultimo, le sceneggiate di Silvio Berlusconi, che ci hanno coinvolto tutti o quasi. Su questo punto riconosco che la Meloni ha subìto questa situazione.

Come fare opposizione e quale?
Per questo non posso che mettere i piedi nel piatto della convocazione del congresso del Pd dopo le elezioni politiche. Niente analisi del voto o errori in campagna elettorale: mi interessa mettere l’accento su alcuni punti che dovrebbero essere centrali nel dibattito congressuale.
Il partito prima di decidere chi sarà il prossimo segretario e l’indirizzo politico conseguente, deve innanzitutto affrontare i temi su quale modello di leadership e quale forma di governance adottare per il partito e per il Paese.

Il nodo dello statuto.
All’atto della sua fondazione, e in questi quasi 15 anni, il Pd è stato strutturato come un partito ‘presidenziale’, dove cioè la guida è incarnata dal segretario del partito, che citando lo statuto ‘rappresenta il Partito, ne esprime la leadership elettorale ed istituzionale, l’indirizzo politico sulla base della piattaforma approvata al momento della sua elezione ed è proposto dal Partito come candidato all’incarico di Presidente del Consiglio dei Ministri’. E viene scelto, dopo la selezione degli iscritti, tramite un’elezione nominale diretta con la formula delle primarie. Una investitura potente. Questo ha un elemento derivativo, che collega tutta la struttura dello statuto. A chi volesse capire la funzione degli statuti dei partiti politici e della loro storia suggerisco il libro “Raccolta degli statuti dei partiti politici italiani”. Può sembrare un sofisma da topo di biblioteca però lo statuto non solo definisce la forma di governance del partito ma esprime – storicamente – anche la forma e la sostanza con cui il partito politico vuole candidarsi a governare il Paese. Gli esempi storici o attuali si sprecano. E non è una cosa da poco.

Riforme costituzionali?
Ecco pensiamo ad esempio al modello di partito proposto dalla Meloni o da Berlusconi, che ha il presidenzialismo come esito della forma di governo. Quest’ultimo prevede l’elezione diretta del capo di governo da parte dei cittadini. Quindi si cancellerebbe la figura del Presidente della Repubblica come garante della Costituzione. E conseguentemente il capo del governo non è più un Primus inter pares, ma, con un inglesismo, un commander in chief.
Ora: se il Pd è ‘di fatto’ un partito costruito su uno schema ‘presidenzialista’ come si porrà di fronte alla ‘riforma costituzionale’ che inevitabilmente la maggioranza Meloni sosterrà?
Finora ci siamo sempre opposti giustamente a questa soluzione, a un cambiamento della Costituzione in ottica presidenzialista. Resta il fatto che il partito è strutturato in forma presidenziale mentre a livello nazionale non siamo disponibili ad accogliere la stessa forma di leadership.

Cosa fare?
Ecco che sarebbe importante visto che vogliamo una fase nuova, diversa, rigeneratrice che il congresso fosse impostato per risolvere questa contraddizione, ma sicuramente anche altre: il congresso va strutturato non a mozioni ma a tesi.
Le mozioni sono uno strumento rigido, chiuso, che debbono essere votate per quello che sono. E si legano inevitabilmente a un rappresentante che ne configura la leadership. Il rischio è forse così di ripetere la routine del passato. Mettendo alla fine poi una figura contro l’altra trascurando la missione politica del partito, che esiste e va portata avanti al di là delle persone che lo guidano.
Le tesi invece possono aiutare a coinvolgere alla radice il percorso attraverso l’indirizzo dello statuto e della governance.
Le tesi sono uno strumento dialettico, che permette una maggiore partecipazione e confronto. Resta fondamentale allargare e coinvolgere la società, al di là degli iscritti del partito sia sulla fase di costruzione delle tesi sia su quella di discussione. E non ho preclusione sulle primarie per scegliere la leadership, ma credo che un tale metodo vada organizzato e motivato e non solo riservato alla giornata del voto, perché altrimenti diventa un esercizio di marketing, influenzabile da fattori esterni che possono stravolgere l’indirizzo del partito.
Le tesi andrebbero articolate punto per punto su quali posizioni il partito intende collocarsi nei confronti della società italiana e internazionale. Su quale vocazione di società intende sostenere. Votandole una per una si articola una vera ‘costituente’ del partito.

Esempi utili.
È stata ricordata la svolta dell’Spd di Bad Godesberg. Va ricordato che nel 1959 quel partito fece un congresso dove decise una nuova collocazione politica, abbandonando il rapporto con l’ideologia marxista e allo stesso tempo riconoscendo l’economia di mercato e l’etica cristiana. In questo modo l’Spd si trasformò in un partito espressione del popolo intero e non dei soli lavoratori.
Un altro esempio viene dall’Italia, dal codice di Camaldoli del luglio 1943 con cui i giovani politici e intellettuali cattolici affrontarono i temi della vita sociale: dalla famiglia al lavoro, dall’attività economica al rapporto cittadino-stato. Furono le basi per la nascita della Democrazia cristiana. E anche per un’unità politica dei cittadini che riconoscevano l’etica cristiana – al di là della fede – come elemento virtuoso della vita sociale. Un punto di partenza che ha portato allo sviluppo di quel cristianesimo sociale che ancora ispira le nostre comunità. E non solo per chi è cattolico.

Conclusioni provvisorie
La coerenza fra statuto, linea politica, congresso a tesi è una scelta metodologica determinante in questa fase per avviare un nuovo processo del Partito democratico.

Grazie di aver condiviso queste mie riflessioni e aspetto le tue… utilissime per continuare il nostro dialogo.