Pubblicato su Start Magazine del 27 maggio 2018

Seconda puntata di una trilogia a cura di Gianni Bessi dedicata alle questioni relative al gas tra Stati Uniti ed Europa

Scena due.
Eccoci di nuovo nei panni di una mosca, ma su un muro differente rispetto a quello della prima puntata. House of zar la volta scorsa era in trasferta nello studio ovale, mentre ora sta spiando la stanza a Sochi dove si svolge il summit – termine che per la mia generazione rammenta la guerra fredda del ventesimo secolo… – tra la cancelliera Angela Merkel e Vladimir Putin. Merkel è al suo terzo mandato: siamo abituati a vederla esperta e paziente, perché sa di aver alle spalle un ‘sistema’ solido: l’inossidabile Germania e il suo mostruoso avanzo commerciale.Oggi però, sedendosi di fronte a Putin, la cancelliera ha il viso tirato. E non aiuta che all’incontro sia presente anche Chairman of the Board of Nord Stream 2, il suo connazionale ed ex-cancelliere Gerhard Schröder, l’ultimo targato SPD.

Tra i temi in discussione l’aggiornamento della situazione North Stream2 (nda NS2): nella partita a scacchi tra i due leader, forte della tradizione scacchista del suo Paese, lo Zar sorride con la consapevolezza di avere in testa le mosse vincenti. Lungo il fianco sudorientale dell’Europa, Gazprom ha completato il primo segmento del gasdotto Turk Stream, che invierà gas russo sotto il Mar Nero in Turchia e in Europa meridionale (Rian.com.UA, 30 aprile). I 930-chilometri di sealine in acque profonde sono stati posati a ritmo record in meno di un anno (sito ufficiale Gazprom, Gazprom.com, 30 aprile) e il raddoppio della prima linea prenderà il via entro agosto. E questa è una notizia. Anche le vie del gas sono infinite.Berlino dal canto suo non vuole deludere le aspettative degli “junker” dell’energia e del sistema industriale, che  avevano subito gravi ripercussioni dopo la decisione di rinunciare al nucleare. Uniper (E.On) e Wintershall (Basf), hanno nei loro piani industriali la ghiotta opportunità di stringere accordi vantaggiosi con NS2: sarebbe la scorciatoia più praticabile per ridare loro un ruolo centrale come player energetici europei e non solo.Il consorzio a fianco delle due società tedesche vede schierate la francese Engie (GDF Suez), l’austriaca OMV e l’angloolandese Shell: si ricompone così il gruppo di Paesi europei interessati ad aggirare le sanzioni alla Russia a seguito della crisi ucraina e a investirsi del ruolo di approvvigionatori dei paesi dell’Est e del sud Europa. Pareva ci fosse il giusto zeitgeist perché arrivassero importanti annunci risolutivi per il 18 maggio. Ma non si dovrebbe mai passare troppo tempo a far congetture. Il rischio è quello di distrarsi, dimenticando i fatti. Già, i fatti. E la verità?

«Non ho mai detto la verità, pertanto non ho mai mentito…» alla mosca non viene in mente una frase migliore per sintetizzare ciò che ha carpito a Sochi durante la rituale conferenza stampa al termine dell’incontro fra la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente russo Vladimir Putin. Il quale ha offerto la propria generica disponibilità a discutere la prosecuzione dei transiti futuri di gas attraverso l’Ucraina nel caso in cui sia verificata la loro “redditività economica.” “È solo una questione di quantità” ha commentato al Corriere della Sera Andrey Kortunov,  non solo direttore di Russian International Affairs Council.

L’espressione insoddisfatta della cancelliera era palese in tutta la sua gravità: Merkel non ha voluto rispondere a domande in merito alle garanzie che Germania e UE avrebbero dovuto sottoscrivere con il governo ucraino per strappare il consenso alla realizzazione del raddoppio di NS2.

Come avevamo visto la scorsa volta, ovviamente la posizione degli Stati Uniti è di opposizione all’accordo che riguarda NS2. La versione ufficiale è che gli Usa in questo modo sostengono l’Ucraina contro le aggressioni economico-territoriali russe. In realtà l’obiettivo è limitare i flussi di gas che garantiscono a Putin la forza economica per resistere alle sanzioni occidentali, spianando la via al contempo al gas liquefatto americano nell’ambito mercato europeo.

Al presidente ucraino Poroschenko non pare vero di avere alleati così potenti e non perde occasione per sostenere il dovere dell’Europa di difendere il baluardo orientale rappresentato dalla democrazia ucraina. Anche lui però gioca su due tavoli, perché non può permettersi il lusso di rinunciare agli introiti dei miliardi di dollari annui derivanti dalle royalties per il transito del gas russo. E ovviamente richiede impegni economici precisi da tutti gli attori in scena, prima di valutare se il prezzo del proprio consenso sia quello giusto o meno.

Sarà possibile per le diplomazie mettere d’accordo gli interessi di tutte le parti in causa, consentendo il transito attraverso l’Ucraina anche dopo il 2019, sapendo che per allora due linee di Turk Stream saranno operative ed il NS2 potrebbe essere in avanzata fase realizzativa? Ma, soprattutto, tutto questo è sufficiente?