Pubblicato su StartMagazine.it il 18 novembre 2018

di Michele Arnese

Ho fatto 2 chiacchiere con Gianni Bessi su gas, energia, geopolitica e dintorni, a proposito delle presentazioni del suo libro “Gas naturale. L’energia di domani” (Innovative Publishing)

“L’Italia può aspirare a diventare un hub energetico del gas naturale e anche delle rinnovabili. Possiamo essere un protagonista della transizione, a patto che smettiamo gli atteggiamenti ideologici e ricominciamo a occuparci della realtà”.

Parola di Gianni Bessi, consigliere regionale Pd emiliano-romagnolo, esperto e appassionato di energia e geopolitica, firma di Start Magazine e autore del recente saggio “Gas naturale. L’energia di domani” (Innovative Publishing, casa editrice di Start Magazine e www.startmag.it). Un libro che è stato lo spunto per iniziative pubbliche in tutt’Italia dove si parla, appunto, di energia, di gas e di geopolitica.

Bessi, lei sostiene che l’Italia può aspirare a diventare un hub energetico del gas naturale e anche delle rinnovabili. Ne è sicuro? Come si fa? E ci sono i presupposti politici nazionali?

Possiamo essere un protagonista della transizione, come spiego nel libro, a patto che smettiamo gli atteggiamenti ideologici e ricominciamo a occuparci della realtà. Inutile girarci attorno, abbiamo di fronte un attacco per delegittimare uno dei settori chiavi del made in Italy, che vede in campo diverse forze. I ‘partiti’ di Governo hanno utilizzato i ‘comitati del No’ come taxi per raggiungere il potere, poi sono scesi. Ma il danno è fatto.

Appunto, quindi cosa fare?

Serve una campagna reputazionale per il settore del gas naturale italiano, che chiarisca il ruolo che può avere in una transizione energetica pulita verso le rinnovabili. Abbiamo per le mani aziende di valore internazionale, possiamo sfruttare gas naturale che è in giacimenti nelle nostre acque territoriali, usandolo per mitigare lo squilibrio della nostra bilancia dei pagamenti e, come dicevo prima, per finanziare la formazione universitaria dei nostri giovani. La sintesi di questo ragionamento è già nel titolo del libro, l’energia di domani: e non mi riferisco solo a quella per accendere le lampadine ma a quella morale di cui questo Paese ha bisogno per costruire il proprio futuro.

Appunto, ma perché secondo lei il gas naturale è l’energia di domani, come dice il titolo del suo libro?

Sintetizza nel modo migliore quello che è uno degli elementi di base del libro: non c’è domani energetico per il nostro Paese senza il gas naturale. La transizione energetica verso le rinnovabili, che ovviamente e giustamente è inevitabile, non si fa dall’oggi al domani, come qualche formazione politica vuole fare credere, a mio parere a scopo puramente demagogico, ma deve passare da un periodo in cui comunque parte della produzione di energia deve essere assicurata anche da fonti fossili. E a questo punto, è la tesi del libro, meglio utilizzare quella più pulita. Il gas naturale, appunto.

Parliamo del Tap, il Trans adriatic pipeline, che passa dalla Puglia per trasportare il gas in Italia. La costruzione del gasdotto pareva dovesse essere bloccata ma adesso ha avuto il via libera dal Governo, anche dalla componente che era contraria e che, anzi, aveva fondato parte della campagna elettorale sulla sua soppressione.

Una delle caratteristiche della politica, che ci piaccia o meno, è il realismo. E restare attaccati alla realtà significa anche fare i conti, non solo economici, con il futuro. Ora si sta parlando solo di presunte penali in caso di interruzione dei lavori, che non esistono mentre fioccherebbero ricorsi da parte delle aziende coinvolte nella costruzione, ma il vero costo economico, come spiego nel libro, sarebbe mettere in ginocchio il settore energetico nazionale. Un settore nel quale lavorano migliaia di persone, che produce ricchezza per i territori, come dimostra l’esempio della mia regione. Non possiamo fare a meno di energia, quindi dobbiamo procurarcela al costo più basso possibile, e in questo il Tap ci serve, senza intaccare l’occupazione. Che già è sofferente.

Stiamo assistendo a un bagno di realismo? C’è stata lo scorso fine settimana la manifestazione a Torino per chiedere che la costruzione della Tav non venga fermata. C’è quindi, come la chiama lei nel libro, un’Italia che non ti aspetti ma che sta ricominciando a fare sentire la propria voce.

E ha bisogno di compattarsi dietro a idee forti, convincenti. A progetti di crescita che portino benefici a tutta la collettività e non a scelte ideologiche, che servono a gratificare appoggiandosi a un idealismo poco pratico. È venuto il tempo di essere lungimiranti, di pensare all’economia nazionale come un sistema a cui tutti possono e debbono portare un contributo.

Questo accenno all’economia nazionale mi fa venire in mente un’altra considerazione contenuta nel libro, quella sui “champion national”, per usare un termine francese coniato mi pare da De Gaulle per indicare le grandi aziende di Stato. Nel libro è contenuta la tesi che anche noi, Bessi, dovremmo sostenere i nostri campioni nazionali.

È una scelta inevitabile se vogliamo che la nostra economia ricominci a funzionare come può e come deve. Recentemente il presidente del Consiglio ha fatto un passo che pareva incoraggiante, incontrando gli amministratori delegati delle nostre grandi aziende partecipate. Però non bastano un incontro e qualche stretta di mano per definire il ruolo che queste grandi società, che non dimentichiamo possiedono know how e maestranze di valore internazionale, debbono avere nella strategia generale del sistema Paese. E soprattutto come gestire questo ruolo.

Nel libro lei ne parla. Ma qual è la strategia che funzionerebbe?

Siamo d’accordo che lo Stato debba costruire un progetto industriale di sistema che sappia valorizzare il capitale produttivo delle imprese partecipate, un piano insomma che le sappia organizzare in filiere complesse e articolate. ma questo può accadere solo se si individua uno strumento di gestione, di coordinamento, di governance, chiamiamolo come vogliamo. Un cabina di regia che a mio parere dovrebbe essere in carico alla Cassa depositi e prestiti. In sostanza, la politica industriale italiana non dovrebbero passare solo dalle decisioni dei Consigli di Amministrazione ma da una strategia di sistema e di integrazione che faccia riferimento a una cabina di regia rappresentata da Cdp. Con priorità per chimica e energia.

Qualcuno potrebbe accusarla di passatismo, di volere restaurare le dinamiche della prima Repubblica.

Prima, seconda… Lungi da me. Quel periodo è storia e lo lasciamo agli storici. Non penso a una riesumazione dell’IRI, ma a una struttura strategica moderna, con obiettivi la ripresa dell’economia nazionale e la competizione nei mercati. Puntando alla massima efficienza del processo produttivo e alla massima occupazione. In definitiva, una via allo sviluppo che non passi solo dalle performance finanziarie ma che abbia come obiettivo anche la ricaduta economica sui territori e sulle aziende che vi operano. Un lavoro di coordinamento che con cadenza regolare coordini i diversi ministeri coinvolti nei progetti, nelle autorizzazioni, ecc. E Cdp sarebbe perfetta per questo ruolo: non è forse stata indicata come strumento per sostenere le strategie di sviluppo del sistema Paese anche investendo il risparmio degli italiani? Facciamoglielo fare allora.

Che tipo di reazioni ha suscitato il libro?

Guardi, recentemente il libro è stato lo spunto per organizzare un incontro proprio nella mia città, a Ravenna, nello stesso giorno della manifestazione per il Si alla Tav a Torino, in un teatro pieno di lavoratori del mondo dell’oil&gas e della logistica portuale. Le sinergie e le interazioni tra questi due ‘mondi’ vedono migliaia di persone lavorare insieme: dal nostro porto, con destinazione estero, partono gli impianti che servono all’industria energetica. Tra gli ospiti della giornata, cosa che mi ha inorgoglito, c’era il Presidente di Assomineraria Luigi Ciarrocchi, il giornalista del Foglio Alberto Brambilla e Giulio Sapelli, che ha scritto la prefazione al libro.

Quali suggestioni sono emerse per il futuro del settore oil&gas.

Per esempio alcuni elementi dell’analisi di Sapelli, a cominciare da quando ha messo in evidenza come la sfida per costruire il sistema energetico del futuro è appena incominciata e che va accettata sapendo che è un passo inevitabile per garantire un futuro a questo Paese. E che dovremo comunque affrontare alcuni ostacoli e paure, gli stessi che indico nel libro. Sapelli ha anche confermato che il gas naturale è uno dei protagonisti principali di questa costruzione, di questa transizione verso il futuro, lanciando nel finale l’idea di organizzare un festival del gas, per diffondere la cultura dell’energia a tutti i cittadini. Insomma, i cittadini che dicono Sì ci sono, occorre organizzarli e testimoniare le ragioni di un nuovo paradigma di crescita, la cosiddetta economia circolare, che deve essere praticata, non solo teorizzata. Serve cultura, tecnologia, competenze, organizzazioni complesse e tanto altro. Non ci sono scorciatoie.

Quello di Ravenna è solo l’ultimo incontro in ordine di tempo e so che in tutte le occasioni ha presentato il libro ha avuto un pubblico interessato, sia di operatori sia di lavoratori. In queste occasioni si parla di strategia energetica più sotto il profilo economico o politico?

Sono molto contento degli incontri che hanno visto protagonisti i lavoratori. Perché, alla fine, messe da parte le chiacchiere ideologiche, quello che una coalizione o un partito chiamato a governare questo Paese deve avere come priorità delle priorità è migliorare la società: e la creazione di lavoro è lo strumento più importante per riuscirci. Soprattutto se la coalizione o il partito sono di centrosinistra, parte politica a cui appartengo con orgoglio. Molto bene quindi le iniziative di presentazione nel distretto energetico dell’Emilia-Romagna, ma sono contento anche della reazione registrata all’università della Basilicata, l’8 ottobre, davanti agli studenti. Anche in quell’occasione ero insieme a Giulio Sapelli e con noi c’erano il giornalista Mario Sechi, il sindacalista della CGIL Claudio Franchi, il professor Severino Romani e il presidente di Confindustria Basilicata Francesco Somma. In quell’occasione ho potuto toccare un altro dei temi centrali del libro, a cui sono particolarmente affezionato, cioè l’importanza della formazione dei nostri giovani perché acquisiscano le competenze necessarie a costruire il mondo energetico di domani. E non solo.

La tesi contenuta nel libro è forte: lei propone di usare risorse attualmente destinate ad altri scopi, come il sostegno alle rinnovabili, o le royalty delle estrazioni per finanziare le carriere scolastiche dei nostri giovani. L’ha chiamata brain tax. Cioè?

Giocando con le molte definizioni in inglese che vengono utilizzate comunemente, come tobin tax o carbon tax. Ma credo che renda bene l’idea. Sarebbe un utilizzo delle tasse per sostenere i nostri cervelli, per formarli e poi dargli una prospettiva di lavoro anche in Italia, non solo all’estero. Per usare una banalità, comunque vera, il futuro va costruito nel presente: dobbiamo essere in grado di sostenere anche economicamente, come fanno molti Paesi europei, il percorso scolastico dei nostri giovani. Investire sui giovani, sulla loro intelligenza, è investire sul futuro di tutta l’Italia.