Pubblicato su Startmagazine.it il 21 luglio 2019

Circular economy

L’articolo di Gianni Bessi, consigliere nella regione Emilia-Romagna, autore del saggio “Gas naturale-l’energia di domani”

L’economia circolare, come ho spiegato nei due articoli precedenti, non è il futuro ma il presente. Possediamo già strumenti per cominciare a investire sullo sviluppo sostenibile e anche esempi concreti di successo in questo campo. Hera spa, la grande multiutility emiliano-romagnola, è impegnata da anni nell’attività di recupero e riciclo di materiali con risultati di anno in anno sempre più apprezzabili: solo per fare due esempi, lo stabilimento di Sant’Agata bolognese, che permette di produrre 20mila tonnellate di fertilizzante naturale e 7,5 milioni di metri cubi di biometano, e il recupero di ingombranti, 751 tonnellate nel 2016.

Nel settore agricolo, è recente la notizia di un accordo fra Eni e Coldiretti per un’agricoltura sostenibile che si basi su ottimizzazione dei consumi di energia, conservazione delle matrici ambientali e impiego sostenibile dell’acqua. La cooperativa vinicola Caviro nel campo della sostenibilità ha investito sull’estrazione di Polifenoli dai vinaccioli, Enocianina e Acido Tartarico, sull’autosufficienza energetica e lo sfruttamento delle rinnovabili, sul recupero delle acque e la produzione di compost.

Queste sono solo alcune delle buone pratiche nel campo della sostenibilità. Ovviamente non basta ed è per questo che serve una maggiore convinzione di tutti gli attori, a cominciare dal governo, per investire di più sull’economia sostenibile. Serve una politica lungimirante e coraggiosa, anche perché sul tema dell’economia circolare in agricoltura l’interlocutore principale è il neoeletto Parlamento europeo, a cui spetta la definizione della Pac post 2020: si potrebbero, anzi dovrebbero avanzare proposte a sostegno delle buone pratiche, quali per esempio l’adozione di un sistema di bonus per gli agricoltori, un incentivo a collegare l’attività di produzione agricola a quella di riciclaggio e di sfruttamento di impianti per produrre energia pulita e non solo.

Sul livello nazionale è invece necessario che si favoriscano gli investimenti garantendo efficienza burocratica e il massimo di partecipazione democratica. Fondamentale è la scelta di scala degli interventi degli interventi pubblici. Un esempio lampante, che riguarda l’utilizzo del biometano per il trasporto pubblico, riguarda il codice appalti che in pratica impedisce a un operatore di comperare il combustibile direttamente da un impianto di produzione. È una distorsione che mina a monte e a valle il sistema dell’economia circolare e ovviamente ostacola investimenti di decine di milioni di euro.

Questo quadro positivo – come ho ricordato nella prima puntata, l’Italia è stata definita uno dei Paesi meglio attrezzati per l’economia circolare – richiede un’azione precisa e determinata da parte di tutto il mondo politico che deve uscire dalle sterili contrapposizioni e dai No preventivi. Riprendendo un tema che mi è caro, serve un ‘piano Paese per l’economia circolare’, che metta in rete le risorse e i soggetti. Non bastano buone intenzione e la nostra proverbiale capacità di improvvisare (che comunque nell’economia globale ha perso di efficacia), ma una programmazione che coinvolga tutti.
Al centro di questo piano deve esserci un concetto strategico: è il territorio complessivamente inteso la fonte della competitività e questo ruolo lo può svolgere solo a patto che adotti un modello di sviluppo sostenibile, che includa i produttori e le fasi di produzione, che si organizzi in reti di imprese e filiere coerenti e che l’obiettivo sia quello che ho citato nel mio primo intervento, cioè creare un’economia che si rigeneri da sola. In questa direzione avrebbero una funzione insostituibile non solo gli elementi puramente economici ma i processi di conoscenza e di coesione sociale.

Il punto di arrivo, insomma, deve essere una nuova economia che sia allo stesso tempo produzione, conoscenza, benessere della comunità e salvaguardia dell’ambiente. La sinergia tra politica ed economia con il mondo dei produttori di conoscenza deve rafforzare la consapevolezza che l’economia circolare ha bisogno sia di un sapere tecnico sia di un sapere umanistico per potere dispiegarsi in tutta la sua efficacia. Di progetti e di linguaggi, di formule scientifiche ma anche di processi linguistici.

Si possono tenere insieme tutti questi elementi? La risposta è sì, ma solo se saremo in grado di comunicare l’urgenza del cambiamento, utilizzando un linguaggio appropriato per coinvolgere tutti i cittadini in una rivoluzione che in realtà è già iniziata e che sta dimostrando come sia possibile uno sviluppo che non penalizzi l’ambiente e, per questo, le generazioni future.